MILANO, 11 OTTOBRE 1964

JazzMi 2024 esordisce con una levata d’ingegno veramente notevole. Il cuore di questa manifestazione è il Teatro della Triennale, sul cui palco si svolgono i concerti più importanti e caratterizzanti del Festival, che quest’anno si sviluppa sull’arco di un intero mese.

Nel 1964 la sala si chiamava invece Teatro dell’Arte, e questo nome farà già ronzare le orecchie ai jazzofili di lungo corso. In quello stesso anno andò in scena forse il più memorabile dei concerti jazz che vi si tennero nei primi anni ’60: quello del quintetto di Miles Davis, il Quintetto per antonomasia, quello con Wayne Shorter al sax, Herbie Hancock al piano, Ron Carter al basso ed il quasi minorenne Tony Williams alla batteria. E la data era proprio quella dell’11 ottobre.

Miles and his Cats. Per Tony Williams oggi si sarebbe mosso il Telefono Azzurro 🙂

Ed a sessant’anni esatti da allora JazzMi ha pensato di rievocare l’evento con tre proiezioni successive di un filmato RAI di circa un’ora che documenta pressoché integralmente lo storico concerto. Ogni proiezione su grande schermo è stata preceduta da una breve presentazione a cura di studiosi di chiara fama. A quella delle 16 cui ho partecipato io erano sul palco oltre al Direttore Artistico Luciano Linzi, Stefano Zenni, Luca Bragalini e Luca Conti. Collegato via web dalla sua casa di New York partecipava anche Ashley Kahn, autore di libri di gran spessore sul jazz degli anni ’60: basti dire che a lui Sony ha concesso l’ascolto dei master originali della intera seduta di ‘Kind of Blue’, nastri che quasi mai escono dalla cassaforte climatizzata in cui sono normalmente custoditi.

Che si trattasse di un’occasione molto speciale lo si è capito subito: la sala è piena nel cuore di un pomeriggio di venerdì lavorativo (figurarsi le repliche successive).

Esordisce Kahn: sullo schermo formato Cinemascope alle spalle non si intravede l’austera cella di uno studioso, ma il covo di un autentico fan, tappezzato di poster, foto e dischi. Il nostro inizia in un volenteroso e molto apprezzato italiano, ma dopo pochi minuti il discorso si ispessisce ed allora si passa all’inglese tradotto al volo da Linzi. Kahn ha una scaletta ben articolata su alcuni punti essenziali. Innanzitutto ricorda che il Quintetto a Milano era ad una delle sue prime uscite pubbliche. Il nostro ha tenuto a sottolineare che a tutt’oggi questa band costituisce un modello esemplare ancora mostrato ed analizzato in tutti i conservatori e scuole di musica americane in cui esista un dipartimento jazz. Ed in quelle sedi accademiche la si classifica non come estrema propaggine dell’hard bop, ma in una categoria tutta sua, il ‘free bop’. Non è quindi un caso che il suo modello aleggi ancora in tante formazioni odierne, anche se spesso non con la stessa aerea libertà dell’originale. Infine Kahn tesse le lodi di radio e Tv europee che hanno preservato una gran quantità di documenti sul jazz che viceversa negli States sono andati dispersi: in particolare, sostiene che il filmato Rai del 1964 ha un grande valore di documentazione, sia per gli studiosi, che per il pubblico. E nel jazz esiste ed influisce solo ciò che è registrato, conclude Kahn. Fortunatamente Ashley non ha fatto un giro sui siti RAI (Teche compresa) dove questo Sacro Graal jazzistico non si trova…..

Segue a ruota Bragalini, che rilancia lo spunto di Kahn sugli esordi della formazione, rimarcando che in particolare Shorter era quasi un debuttante assoluto in essa. Il che implicava una scarsa dimestichezza con il sistema di ‘segnali’ che governavano le fluide dinamiche del quintetto in concerto. Poi mette l’accento sull’assoluta diversità tra la musica prodotta in studio dal Quintetto, basata su complesse composizioni originali che necessitavano accurate prove e messe a punto, ed il repertorio utilizzato in concerto, che viceversa si riduceva ad un book di non più di una  ventina di standards, completamente padroneggiato dai musicisti e che poteva esser quindi dilatato sino all’estremo in una serie di digressioni che venivano organizzate attraverso i già citati ‘segnali’ condivisi: così il materiale utilizzato dal vivo manteneva anch’esso una struttura organica, anche se a maglie molto larghe.

A proposito dell’altra faccia di Miles, quella ‘live’: a novembre esce “Miles in France, 1963 & 1964. The Bootleg Series vol.8”. La collana, che da anni ci porta registrazioni in massima parte inedite dei gruppi davisiani sul palco, allinea un inatteso Volume 8, che oltre ai noti sets di Antibes 1963 con George Coleman, comprende concerti parigini tenuti nel 1964 del Quintetto ormai a regime con Wayne Shorter. Grazie INA, anche per il magnifico suono. Ecco qui il magico ‘So What’, un trailer di gran lusso…

Segue Zenni, che con la sua consueta verve lancia quella che forse era intesa come una battuta: “Quanti di voi erano qui nel 1964?”. Ed invece in platea si alzano almeno due mani, che suscitano generali sguardi d’ammirazione ed anche d’invidia. Prosegue notando che il Quintetto, oltre ad esser un gruppo organico, in realtà in concerto si presentava come una galassia in cui orbitavano altri sottogruppi: il quartetto di Miles con Hancock, Carter e Willams; il quartetto di Shorter con i medesimi Hancock, Carter e Williams; il trio di Hancock con Carter e Williams; ed a tratti persino il duo tra Miles e il prediletto Tony Williams. Un vero microcosmo musicale, la cui esistenza è dimostrata proprio dal video RAI, in cui Davis e Shorter suonano insieme solo nella ripresa finale del tema di ‘All Blues’ che chiude il concerto. Zenni poi sottolinea con forza che dopo anni d’inquietudine e di transizione seguiti soprattutto al distacco di Coltrane Miles spariglia tutto, mettendo un’egemonia conquistata duramente ed a caro prezzo nell’ambiente musicale ed anche intellettuale americano in mano ad un pugno di autentici ragazzini (e non si parla solo dell’imberbe Williams…). Young cats che proprio dal Quintetto saranno proiettati poi in carriere folgoranti. Il solo Shorter fa in parte eccezione, soprattutto nella postura; ma di questo si dirà più oltre.

Ma è venuto il momento di abbassare le luci in sala, ed è un momento di sottile emozione. Dalle prime inquadrature del video si nota subito che il teatro è rimasto pressoché uguale a 60 anni fa, il che acuisce la sensazione di rivivere virtualmente il concerto del 1964.

Il filmato inizia curiosamente a sipario ancora chiuso, con alcuni spettatori che ancora vagano in platea (sul pubblico di impronta borghese ed intellettuale del 1964 sarebbero possibili interessanti notazioni sociologiche, ma sopravvoliamo). Il concerto ha un singolare avvio improvviso: risuonano due note di piano a sipario ancora chiuso, immediatamente dopo l’apertura con il Quintetto che si sta ancora disponendo e poi via… la musica parte in corsa senza alcun preambolo o preparazione, come se tra le quinte il concerto fosse già iniziato.

Hancock in uno dei suoi felini scatti solistici

A questo punto, onore e gloria all’ignoto regista della ripresa, uno dei pochi casi in cui l’immagine aggiunge veramente qualcosa alla musica. Se si pensa ai limitati mezzi tecnici dell’epoca (altro che mixer video e multitraccia…), la regia riesce a rendere con grande e palpabile evidenza il perpetuum mobile, la tensione della creazione sul momento che è l’essenza del Quintetto per mezzo di un serrato scambio tra le tre (!) telecamere in campo.

Una in particolare è strategicamente piazzata tra le quinte del palco, e così penetra all’interno della band, regalandoci emozionanti primi piani dei musicisti in azione. Così vediamo la totale concentrazione di Miles in assolo, animato da una tensione che non cala nemmeno quando si fa da parte per lasciare il posto a Shorter e dai lati del palco continua a fissare intensamente, quasi ansiosamente, i suoi giovani compagni a cui viene lasciato il timone di una nave che veleggia in mare aperto su una rotta che si rivela solo navigando. Un dialogo silenzioso, non verbale, che vedremo intessersi spesso nel concerto.

Dentro il Quintetto….

Oltre a rendere perfettamente il clima di work in progress in cui è immerso il gruppo, la ripresa ci fornisce un ritratto a tutto tondo di un trentatreenne Shorter che emerge dalla sottile tessitura del Quintetto con decisione ed autorevolezza veramente impressionanti. Oltre alla densità e ricchezza di idee dei suoi soli, si percepiscono nettamente echi del Free che proprio allora esplodeva dall’altra parte dell’Atlantico (la October Revolution di New York, notare la coincidenza di date), lo spavaldo inserimento di schegge di proprie composizioni ed addirittura alcune inflessioni rollinsiane: insomma un Wayne molto diverso e più spigoloso di quello che avremmo imparato a conoscere dopo.

Wayne, il Fratello Maggiore

Ma anche il trio Hancock/Carter/Williams sorprende. Herbie è un accompagnatore innovativo, ma misurato: ma quando la palla passa a lui fuoriesce immediatamente dalla tessitura del gruppo con improvvise e folgoranti idee, intense e brevi come un lampo. Per fortuna ci sono Carter e soprattutto Williams a ritessere una trama d’insieme sottile e fluttuante come una ragnatela.

Hancock sfoggiava una giacchetta strizzata che sembrava quella della prima comunione….

Il video si conclude con qualche rapida, preziosa inquadratura che dà la misura delle reazioni della platea milanese 1964: ci sarebbe molto da dire anche qui, ma il papiro è già troppo lungo.

Le luci si riaccendono ed il pubblico 2024 applaude allo schermo: l’ultima volta che ho visto succedere una cosa simile è stato nei cinemini della mia infanzia… il gioco di prestigio è riuscito, complimenti JazzMi.

La qualità video della registrazione RAI è ottima e sfoggia una luminosa gamma di grigi tipica dell’epoca; l’audio sarebbe potenzialmente di primo livello per dinamica e timbri, ma purtroppo è afflitto nei passaggi a volume elevato dal fastidioso ‘effetto copia’, che tutti coloro che decenni fa trafficavano con bobine e cassette conoscono molto bene. Con i mezzi tecnici e gli ingegneri del suono di oggi basterebbe poco per sbarazzarsene, occorrerebbe solo la consapevolezza di aver per le mani un vero e proprio ‘bene culturale’ che persino l’autore di “Kind of Blue. New York 1959” ci invidia.

Consigliatissimo….

In attesa del restauro e della ripubblicazione sui siti RAI, e nella logica del ‘grande divano virtuale’ che anima questo blog, abbiamo setacciato il web alla ricerca di copie alternative del video. Fatta una valutazione comparativa di difetti e pregi di ciascuna, quella che segue offre il compromesso migliore tra qualità video ed audio. Guardatevela su un grande schermo, avrete anche voi la vostra dose di emozione portata da un magico pomeriggio d’ottobre. Milton56

 

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