Nel mondo chitarra di Pat Metheny

Il Teatro Carlo Felice di Genova gremito in ogni ordine di posti ha accolto, in un’atmosfera da grandi eventi, martedì 29 ottobre, la prima data del tour autunnale europeo di Pat Metheny, dedicato ai due album “Dream box”/”Moon dial“, ma in realtà pretesto per una carrellata di tutte le avventure soliste del Nostro e per presentare alcune novità.

La prima delle quali, è che in questo tour, a differenza del solito, come annunciato direttamente dal protagonista, Pat parla. E non poco, se si tratta di tirare le somme di cinquanta anni di carriera e cinquantatre dischi registrati, un numero che ha stupito lo stesso Pat, quando lo ha appreso.

Il primo speech ha fatto seguito ad un lungo medley condotto dalla chitarra acustica costituito da alcuni famosi pezzi del PM Group, da “Minuano” per approdare ad una “This is not America” che conserva tutto il suo drammatico carisma anche in questa versione basilare. Vedendo Pat chino sulla chitarra impegnato a studiare le migliori connessioni armoniche per passare da un brano all’altro, si percepisce vividamente la profonda dedizione ed amore per la propria arte che da sempre accompagna il cammino del chitarrista. Perlomeno da quando – come racconta – a 10 anni gli capitò di vedere i Beatles alla tv e di notare quello strano oggetto a sei corde che l’anno dopo chiese ai suoi come regalo di Natale. Vennero poi tutte le usuali tappe che legano un adolescente alla musica, da “House of the rising sun” alle altre hits dell’epoca suonate in garage, fino alla folgorazione con il jazz, propiziata dal fratello trombettista Mike, che un giorno gli fece ascoltare “Four and more” il live a NY del 1965 del quintetto di Miles Davis. Quello gli cambiò la vita, portandolo ad eliminare tutto il resto per concentrarsi su quella musica, e gli permise di scoprire i suoi “personali Beatles” ovvero il quartetto di Gary Burton, casa di Metheny per tre anni agli inizi di carriera.

A Charlie Haden ed al disco in duo “Beyond the Missouri sky” è dedicata invece la seconda suite, aperta da un racconto sull’incontro con il bassista, poi diventato amico personale di Pat, e sulle indicazioni dispensate dal più anziano collega in sala di registrazione sull’utilizzo della chitarra acustica, strumento con il quale, finì poi per registrare l’intero disco insieme al contrabbasso di Haden.

C’è spazio per la lunga cavalcata ritmica di “New Chautacqua” e per le follie noise di un brano improvvisato dalle cadenze in parte telluriche, nonchè di una comparsa della Pikasso a 42 corde disegnata dalla fida Linda Manzer, prima del secondo lungo discorso dedicato stavolta all’ultima scoperta di Pat, la chitarra baritono. Per lui una vera rivelazione la possibilità di abbinare un particolare tipo di corde in nylon a questa chitarra che riassume in sè il suono di tre strumenti, viola, violino e violoncello, al punto da dedicare parti crescenti degli shows allo strumento fino a decidere di incidere nelle pause del tour l’intero “Moon Dial“. Resto dell’idea che risulti difficile condividere, per i non musicisti, gli entusiasmi incontenibili di Metheny per questa “scoperta””, posto che si tratta “semplicemente” di una chitarra acustica sebbene dalle sonorità più gravi e profonde, che consentono di apprezzare in modo più vivido e dettagliato gli inconfondibili fraseggi dello stile chitarristico, le sfumature di malinconia che spesso emanano dalle composizioni, e la maestria con la quale vengono legati i brani dei due medley, l’uno dedicato a “What’s it all about“, con in bella evidenza la celebre “Garota de Ipanema” e l’altro al più recente album .

A questo punto lo show imbocca la sezione più spettacolare, con la comparsa in scena della chitarra elettrica ed il colpo di scena dello svelamento del famoso Orchestrion, apparato percussivo multistrumentale, con tamburi, bacchette e marimba che interagisce con la chitarra fornendo un tappeto ritmico multicolore. Ma c’è ancora spazio per un omaggio a Wes Montgomery, nella fedele riproprosizione del formato organ trio con le loop stations che consentono di sdoppiare o triplicare la chitarra, formula che Metheny porta poi alle estreme conseguenze moltiplicando gli strumenti sul palco, suonando il sequenza la chitarra che porta a tracolla , il basso e molte altre chitarre montate su supporti fissi. Regala persino un apprezzatissimo brandello di nostalgia con il solo alla famosa synth guitar che rappresenta uno dei suoi marchi di fabbrica sonori.

Circondato da sei, sette chitarre, Pat sembra un bambino in un mondo pieno di giocattoli, salta da una all’altra in perfetto tempismo, assecondato dagli assistenti che non sbagliano un secondo nell’alternare la comparsa di tutti gli strumenti. Una sorta di celebrazione della sua storia di musicista innamorato, a cinquanta anni dagli esordi, della possibilità di suonare ed arrivare, tramite le sue corde, a quelle emotive di tutto il suo appassionato pubblico. L’ultimo encore è con “And i love her” dei Beatles, ed allora viene da pensare che la chiusura del cerchio, iniziato a 10 anni vedendo la tv, sia davvero perfetta.

Foto di Roberto Cifarelli, al quale va un grandissimo GRAZIE.

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