IN SPLENDIDA SOLITUDINE

Come avrete capito in occasioni precedenti, sto seguendo con una certa trepidazione il ritorno sulle scene di Franco D’Andrea, per me figura del tutto imprescindibile per la scena jazz italiana insieme a Rava. La trepidazione è dovuta al bello spavento che ci ha fatto prendere nell’estate 2023, ma, come ho avuto modo di constatare a Roma e Ferrara in occasione di passaggi del suo nuovo trio, è una parentesi definitivamente chiusa.

Il trio della svolta

Non solo, ma sia l’ultimo album che le occasioni live hanno rivelato una vena ed un approccio nuovi: merito del trio nuovo di zecca con il giovane fuoriclasse del basso Evangelista? Ipotesi un poco debole, visto che il Nostro ha alle spalle una storia ininterrotta di creazione di nuovi organici e valorizzazione di nuovi talenti.

E quindi quale miglior occasione di verifica che ascoltarlo in solo? Bella opportunità consentita dal meritorio Atelier Musicale di Milano, che entra quest’anno nella sua trentesima stagione: un’isola di resistenza umana nella Milano di oggi, autentica matrigna nei confronti del jazz e della musica europea moderna e contemporanea. Tra  l’altro quello dell’8 febbraio scorso all’Auditorium Di Vittorio è stato uno dei rari concerti milanesi di D’Andrea, che paradossalmente finisce per trovare le sue migliori occasioni lontano dalla sua città d’adozione.

Il pubblico è foltissimo (molti nuovi tesserati) ed a colpo d’occhio è all’altezza dell’occasione: farà la sua parte nell’esito del concerto.

Certamente anche il programma esercita il suo richiamo: “Duke e Monk”, due numi tutelari sui cui il pianista si è formato sin dagli anni più verdi. Ma veniamo subito avvertiti dall’introduzione di Maurizio Franco che non è prevista una scaletta definita e strutturata; nel contempo ci viene anticipato che non ascolteremo le ampie medley a cui ci ha abituato D’Andrea quando affrontava i suoi classici, bensì dei brani molto più concisi e concentrati, una novità non da poco.

Ed ecco D’Andrea che ci racconta in prima persona i suoi amori musicali, quelli che lo hanno formato. Notare la piana semplicità: che differenza con certe ‘pensose interviste’ che vanno per la maggiore oggi 😉

Il concerto si apre con un’introduzione turbinosa, dalla quale emerge come sulla ruota di un vasaio l’abbozzo di un tema che via via prende forma più definita: è ‘Take the A Train’, vera sigla ellingtoniana. Anche gli altri incipit successivi seguiranno la stessa logica.

Colpisce subito la conquista di nuova luminosità ed ariosità, che si giova di una mano sinistra più morbida e leggera, lontana da una certa tenebrosa analiticità tristaniana del passato: è più fluido il dialogo con una destra aerea e brillante.

D’Andrea ha un rapporto particolare con i temi prediletti: non ne sfrutta il potenziale più ovvio (il dinamismo nel caso dell’A Train), ma si aggira al loro interno come se esplorasse erraticamente una casa, di cui apre ogni finestra per farvi irrompere paesaggi luminosi e distanti.

Il nostro si concede ampie digressioni, brillanti invenzioni, ma rimane sempre ad orbitare intorno agli amati temi, o meglio alle schegge che ne restano (sempre ben riconoscibili, però). E questa sotterranea fedeltà è un grande atout nella relazione con il pubblico, che stenta contenere l’entusiasmo nelle pause tra un brano e l’altro, che D’Andrea vorrebbe le più brevi possibili per non perdere concentrazione.    

Infatti sfilano diversi brani (con una leggera, ma percepibile preferenza per Duke), ma l’atmosfera della performance rimane omogenea: il nostro si è impadronito dei materiali e li ha riplasmati senza la laboriosa analiticità del passato, ma con una fluida e rilassata discorsività, tanto che a momenti mi sembra di vederlo nei panni del pianista di rent party, persino quando è alle prese con l’angoloso e scosceso Monk. 

Will ‘The Lion’ Smith, mica bruscolini….

Lo splendido 86enne affronta con invidiabile souplesse oltre un’ora di piano solo denso e concentrato, una prova non da poco anche per pianisti più giovani: di fronte alla travolgente ovazione finale del pubblico, troppo a lungo trattenuta, concede senza farsi pregare anche un ‘Solitude’ finale, ancora Ellington.

Ed ora che abbiamo visto nascere un ‘nuovo D’Andrea’, ci aspettiamo un bell’album di piano solo, magari registrato dal vivo… ci possiamo sperare, Maestro 😉 ? Milton56

Ahimè sul Grande Tubo mancano clips recenti di D’Andrea in piano solo: trovato solo questa che però risale circa al 2020, ci possiamo consolare con il livello tecnico professionale. Ah, dimenticavo: è materiale RAI, fate presto a vedervela, a breve con ogni probabilità sparirà…

 

3 Comments

    1. Ben trovata, Fa Minore. Il punto è che l’A Train dell’Atelier è molto diverso da quello del 2020. Purtroppo non sono riuscito a trovare nessuna clip che documenti il D’Andrea 2025 in solo (cosa che fa pensare non poco..). Motivo di più per non farvi scappare qualche passaggio del Nostro dalle vostre parti. Quanto al rapporto di Franco con la musica europea, diciamo che è alquanto ‘complesso’. ‘Stay tuned’. Milton56

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