I MITI RITORNANO (A VOLTE…)

Frequento assiduamente BandCamp, simpatico mercatino alternativo della musica, che però ha il difetto di sommergere in mezzo a mille curiosità cose che meriterebbero una maggiore evidenza e rilievo. Forse per questo le etichette che sentono di avere una propria immagine e visibilità se ne tengono lontane, forse anche con una punta di snobismo.

Né aiuta molto la solita intelligenza artificiale, che, nonostante anni di continuo monitoraggio dei miei gusti e preferenze, finisce spesso e volentieri per non evidenziarmi cose che viceversa mi farebbero rizzare le orecchie all’istante.

Per fortuna anche nello spazio virtuale funziona una sorta di passaparola che grazie alla frequentazione di posti ‘giusti’ ti consente rocambolescamente di afferrare al volo notizie e novità succose, scoprendo poi che si trovano nascoste in qualche piega dell’ineffabile BandCamp.

La prima notizia ha quasi il sapore di una preghiera esaudita. Vi ricordate di quando vi ho parlato di Strata East Records, l’ormai quasi mitologica etichetta fondata nel 1971 da Charles Tolliver e Stanley Cowell e che in ottica di sostanziale autogestione ha documentato tanto jazz a cavallo tra l’hard bop ed esperienze più avanzate, un filone trascurato dalle majors del disco, tutte concentrate a sfornare a ritmo industriale la fusion più enfatica e prevedibile? Ricorderete anche che ve la ho descritta come un’araba fenice pressoché inafferrabile, anche via streaming. Beh, la fenice sta per rinascere grazie a Mack Avenue, una raffinata etichetta molto cara all’amico Pepe, purtroppo poco nota ed ancor meno distribuita dalle nostre parti. Mack ha da poco firmato un accordo con i Tolliver sr. e jr. per la ripubblicazione del catalogo Strata East, previo accurato restauro e rimasterizzazione affidata a Kevin Gray, un nome che in questo campo è già da solo una garanzia. Cosa rara in questi casi, l’operazione ha un carattere autenticamente democratico, dal momento che gli album tirati a lucido saranno disponibili su BandCamp sia in digitale, che in CD ed LP (questi ultimi con i ben noti incerti doganali che gravano su tutto ciò che viene importato extra UE). I prezzi del digitale e dei CD si annunziano umani, quelli degli LP sono ad un livello a cui è già assuefatta la setta degli audiofili. Già così c’è da stappare una bella bottiglia per festeggiare, ma qualche altro dettaglio ci porterà difilato a vedere anche il fondo della medesima. Infatti il programma comprende la bellezza di ben trenta album, che verranno antologizzati in una playlist di presentazione che comparirà su Spotify a fine aprile: così i neofiti potranno fare la conoscenza del mondo di Strata East, che ha sue caratteristiche ben precise e definite, che non mancheranno di stupire molti jazzofili più giovani. Decisamente è gente che sa fare il suo mestiere di etichetta indipendente, quelli della Mack.

Oltretutto sono anche gente di gusto e che ha capito la natura della filosofia Strata. Lo si vede dai primi tre titoli che verranno lanciati a fine aprile su BandCamp. Sono questi:

Mi spiace molto per il travaso di bile che prenderà i pochi collezionisti che negli anni passati si sono aggiudicati a colpi di centinaia di dollari le poche copie circolanti di questa autentica rarità. Una pietra miliare della discografia di Sanders, che dopo averla registrata nel 1969 la vide pubblicata solo 1973 e solo grazie alla nascente Strata. Un must per i fan del free jazz.

Forse i due più audaci e roventi album di Charles Tolliver, registrati nel mitico Slug’s di cui abbiamo discorso parecchio recentemente (il fattaccio di Lee Morgan, lo straordinario live di McTyner/Henderson e co.). Io ci ho messo quasi vent’anni a trovarne due ristampe CD, che spariranno a confronto della qualità con cui si annunziano queste, che tra l’altro costeranno la metà

 

Beh, qui da irrecuperabile sentimentale mi spunta una lacrimuccia. Un album perduto di un pianista finissimo come Stanley Cowell (per conoscerlo meglio, autocitazione), in cui il nostro dialoga con sé stesso in sovraincisione al piano acustico ed a quello elettrico: una prodezza che si era potuto permettere solo un Bill Evans all’apice della carriera e delle fortune discografiche. Speriamo che nel programma di riedizione sia compreso anche il suo splendido ‘Brilliant Circles’.

E chiudiamo qui con una bella storia, che ha fatto talmente rumore che un blog del New York Times ha interpellato numerosi musicisti e produttori per farsi segnalare il loro brano Strata preferito.

Adesso passiamo ad un altro capitolo, che invece ha lasciato un poco di amaro in bocca.

Adesso racconto ai più giovani di voi quella che sembrerà loro una favola. C’era una volta una piccola casa discografica, anzi due gemelle, che avviate nel 1975, produssero sino al finale del 2008 oltre 500 album. In questo catalogo c’è tutto l’indispensabile (ed il meglio) di quello che è successo nel jazz americano tra la fine degli anni ’70 e l’inizio dei ’90. Senza di loro non avremmo nemmeno sentito nominare David Murray, World Saxophone Quartet, Hamiet Bluiett, Rova, Julius Hemphill, Old and New Dreams, Don Pullen & George Adams etc. In altri casi si dovette a loro se grandi musicisti da tempo finiti nell’ombra furono riportati al centro della ribalta: Andrew Hill, Mal Waldron spesso in duo con Steve Lacy, George Russell, Jaki Byard. Molti giovani musicisti italiani di allora poterono fare le loro prime apparizioni a fianco di grandi della musica afroamericana: ora sono i decani nel nostro jazz internazionalmente riconosciuto. Le due gemelle per sei anni di fila ottennero la designazione di migliori etichette jazz nel sondaggio annuale condotto da Down Beat tra i critici americani (cosa non da poco, considerato lo sciovinismo dei cugini yankee): i loro dischi erano regolarmente distribuiti negli States, dove erano oggetto di caccia serrata (mi risulta personalmente). Beh, le due gemelle non abitavano a New York, ma più prosaicamente a Tribiano, Milano, Italy. SI tratta di Black Saint e Soul Note.

Solo per caso ho scoperto che tra settembre ed ottobre scorso sono state aperte a nome di ciascuna etichetta due pagine BandCamp su cui sono stati caricati cospicui blocchi di loro album.

Nessuna grande label americana in quegli anni ha mai pubblicato una cosa del genere. Meglio: non erano nemmeno capaci di pensarci. Grazie a Black Saint io li ho sentiti anche dal vivo nel 1979… altro vantaggio di avere in casa una etichetta di reputazione mondiale

I prezzi dell’edizione digitale e di quella CD in altri tempi si sarebbero definiti ‘popolari’ (€.7,00 per il download digitale….), soprattutto se rapportati alla qualità della musica. Molti titoli proposti sono ormai dei veri e propri classici, citati a ripetizione e con gran sciupio di ‘stellette’ in tutti i repertori discografici che coprono già quel periodo (molto pochi tra l’altro).

 Altro disco impagabile. Notare la bellezza della copertina, è uno scatto di Giuseppe Pino. Registrato a Milano nel 1978

Tutto bene, quindi? Non esattamente, dice lo scrivente, forse maliconicamente non al passo con la svelta disinvoltura dell’attuale Mondo della Comunicazione. In primis, nelle note di presentazione delle etichette si scrive che esse sono state fondate da Giacomo Pellicciotti: vero, diverse prime sessioni sono state anche prodotte da lui. Non una parola sul fatto che le due label sono state poi guidate e gestite per oltre 20 anni da Giovanni Bonandrini, coadiuvato anche da suo figlio: mi è stato raccontato che per i jazzmen americani che incidevano per lui Giovanni era Mister Bonandrini’, di cui chiedevano notizie anche ad anni di distanza in occasione di loro tour in Italia. Sarò un patetico residuato del XVIII secolo, ma a me questa sembra una svista piuttosto imbarazzante. E se così non fosse, si tratterebbe di notevole caduta di stile.

Altra cover magnifica, scatto della fascinosa Ming, all’epoca la  Mrs.Murray in carica. David Murray deve moltissimo a Black Saint, solo con DJW Disk Union riuscirà ancora a togliersi lo sfizio di registrare con una big band, sua grande passione (qui ci sono Billy Higgins ed il giovane Steve Coleman, tanto per far due nomi). Anche per DJW una prece, lei è totalmente scomparsa portando con sé un altro catalogo memorabile   

La presentazione in blocco di un catalogo così variegato e che comprende musicisti che già allora percorrevano strade molto diverse non mi sembra il miglior modo di valorizzarlo; alcuni dettagli possono poi creare l’impressione di un’operazione di frettolosa liquidazione (l’offerta di tutta la discografia digitale in blocco a €.989,10…). Anche qui sarà ubbia solo mia… Comunque sono cose che accadono spesso su BandCamp, uno dei suoi aspetti critici.

Questo disco è del 1976… ECM è arrivata solo dopo. Gli apostoli di Ornette diffondono la sua musica per il mondo: un grande gruppo che qualche anno fa è a sua volta rivissuto nel bel “Still Dreamin’ “, firmato da Joshua Redman, il figlio di Dewey

Altro neo che vedo nell’operazione è l’assenza di una traccia ascoltabile, come è di prammatica in BandCamp: sarebbe stato utile far toccare con mano la qualità di questa musica a giovani ascoltatori che non hanno dimestichezza con questa vitale stagione jazzistica. Così si tende inevitabilmente a orientare l’offerta verso vecchi ‘addicts’ dell’era geologica del sottoscritto, che non si faranno scappare l’occasione di riempire qualche buco nelle proprie discoteche, e pure a prezzo di saldo. Peccato, avrei voluto farvi sentire qualche traccia delle edizioni rimasterizzate, bisognerà rimediare con il solito approssimativo YouTube.

Nel 1987 Geri era praticamente al suo debutto. Soul Note la manda in studio con Haden e Motian, e lancia definitivamente la sua carriera. Dopo qualche anno firmerà per Blue Note altri dischi memorabili (ma non con questi giganti al fianco). Altro disco pluri-stellato  

Nel 1986 negli States Andrew Hill se lo erano bellamente dimenticato: incredibile, ma vero. Ma arrivano il grande Nicola Tessitore, anima del favoloso Verona Jazz Festival e autentico ‘riscopritore’ anche in altri casi, e Giovanni Bonandrini: ed ecco che Andrew torna alla ribalta prima al Teatro Romano (che ricordi…) e poi negli studi di Soul Note. L’album non si chiama ‘Verona Rag’ per caso…. I feroci Richard Cook e Brian Morton della ‘The Penguin Record Guide to Jazz in CD’ (un libriccino da 1785 pagine) lo inseriscono immediatamente dopo ‘Point of Departure’, uno dei soli venti dischi con la loro ‘coroncina’ (quelli da isola deserta, per intenderci)

Anche loro nel 1986 non erano nel loro momento di miglior fortuna….

Che dire, ragazzi? Come in molte situazioni di vita, vediamo la metà piena del bicchiere. Fatevi un giretto sulla pagina Soul Note  e su quella di Black Saint e fatevi un’idea (magari cadendo pure in tentazione…). Se servisse, sotto ci sono i commenti per eventuali richieste di consigli: ovviamente faziosi e passionali, come sempre 😉 . Milton56

Ed ora un paio di stuzzichini….

… ma facciamo anche tre: un Billy Strayhorn dedicato al suo protettore Johnny Hodges… che arrivava sempre in ritardo alle sedute di registrazione. Per la gioia di Ellington 🙂

1 Comment

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.