Cartoline da Manerba – L’étoile du lac, Camille Bertault.

Curiosità e attesa avvolgevano l’unica data estiva in Italia di Camille Bertault, stella d’Oltralpe protagonista d’una carriera in continua ascesa, testimoniata da una serie di album di composizioni originali in cui la migliore chanson française si coniuga al jazz, con spruzzate a tinte latine, in un cocktail che punta ad un largo pubblico ma senza cercare scorciatoie d’alcun tipo. Il bagaglio tecnico di Camille Bertault è di primissimo livello, la sua effervescente verve teatrale e la seducente padronanza del palco hanno fatto il resto ammalliando il pubblico accorso alla serata, quasi 300 persone che hanno raccolto la proposta del Jazz Festival Minerva Musicae di Manerba sul Garda, una rassegna in crescita esponenziale, un po’ come la protagonista del concerto. Aggiungiamo che molte di quelle persone alla fine del set avevano occhi che lampeggiavano cuoricini…

Tutte le foto sono di Patrizia Bonatti, che ringraziamo

Del resto, questa giovane donna parigina, della quale aveva già parlato l’amico Milton dopo una data milanese in duo, è esplosa mondialmente sui social nel 2015 riproducendo in scat gli scarti armonici della coltraniana “Giant Steps” ed altre funamboliche versioni ma ha una formazione solidissima: a quattro anni sedeva già sullo sgabello del pianoforte imitando il papà, amante del jazz che suonava Bill Evans e Keith Jarrett e ad otto anni frequentava già il Conservatorio di Boulogne Billancourt, dove ha appreso teoria musicale, duro lavoro quotidiano e disciplina. Dopo il diploma a Nizza Camille ha abbandonato per un certo periodo il pianoforte, stanca della rigida struttura del conservatorio, per studiare teatro e danza, cominciando anche a scrivere canzoni, mettendo liriche a standards noti, immersa nell’adorazione del miglior jazz, lavorando sempre sulla propria voce che è diventata nel tempo uno strumento di precisione chirurgica, come si è potuto apprezzare nella data del Festival bresciano che ha avuto la brillante idea d’invitarla.

Il concerto ha ripercorso in larga parte “Bonjour Mon Amour” (2023) proposto dalla stessa fidata band che ha inciso il disco, un lavoro che mescola con abilità dramma e ironia, in un melange che paga pegno alla miglior tradizione francese dalla vivida ironia (Brassens? Vian? Gainsbourg? …Bertault?), con arrangiamenti che pongono l’accento sull’aspetto ritmico del canto, asciugando le rapide escursioni in scat per inserirle in un assetto compatto e moderno. Il brano omonimo ha aperto le danze con uno xilofono giocattolo a sottolineare il riff di un testo tutt’altro che innocuo, moderno e colmo di giochi di parole e sciabolate su splendori e logorìi della coppia moderna, da un punto di vista femminile, bien sûr ! Buono il lavoro d’insieme della band a supporto della spumeggiante leader e delle sue composizioni, tra cui sottolineiamo l’intensa e “trenetiana” “Voir La Mer“, con il pianista libanese Fady Farah  a prendersi le maggiori libertà negli assoli e con il batterista argentino Minino Garay a spandere alcuni lampi di classe, peraltro aiutando anche Camille ad interagire al meglio con il pubblico, grazie al suo divertente italiano. Una versione voce-piano a tavoletta dalle variazioni Goldberg di Bach ha fatto da spartiacque al concerto, che è continuato pescando dal repertorio di dischi precedenti. La dolce-amara “Je Suis un Arbre” cantata e danzata con grazia davanti agli ulivi della terrazza manerbese ha evidenziato un altro testo potente e malinconico, che potrebbe avere scritto Bijork (“Les gens sont des trains / Qui passent et trépassent / Moi je laisse passer mon tour / J’m passe bien de c’qui se passe / Je suis un arbre, / Mes copains cyprès / Sont ni loin ni près / Et me laissent penser…“) mentre l’excursus rap su “Dodo“, l’uccello estinto incapace di volare, è diventato un melange con un altro divertente brano in scat che, se ho capito bene dai miagolii, Camille ha dedicato al suo gatto Jo.

Dal repertorio del recente passato sono arrivati altri originals, come “Nouvelle York, con la metropoli che scivola negli occhi della giovane artista che se ne abbevera, fate conto che sia un po’ la versione francese e femminile di un “English Man in New York”, e dell’accorata “Ma Muse“, dedicata alla musica, definita in mille modi tra cui “mia notte, mio nido / mio cielo, mia vita / Grazie a te, fuggo / Regina e musa, andiamo lontano / Mi isoli senza logorarmi / Musa che giochi brutti scherzi…(Muse qui fait des siennes = Musicienne)” .

Julien Alour (t) Fady Farah (p) Christophe Minck (b) Minino Garay (d)

Non ha giocato in questa serata brutti scherzi la musa a tutto il quintetto che ha chiuso lo show con un divertente bis, a testimonianza di come il jazz possa declinarsi in modo sorridente, positivo e universalmente fruibile. Camille Bertault tornerà con la sua carica di energia in autunno a Firenze, ci ha confidato nel backstage, e chissà che non ci sia qualcosa di nuovo che bolle in pentola, magari con quel genio del pianoforte che si chiama Jackie Terrasson, già presente in una precedente incisione (La Tigre / Sony Music). Quizas! Intanto la stella parigina ha brillato in alto, nel cielo estivo del Garda.

N.B.: Altre cartoline da Manerba in arrivo, complici i tempi postali prima o poi le troverete su questi schemi…

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