La molla che mi ha fatto scegliere questo concerto (Blue Note Milano, 7 settembre) è stata duplice: da una parte lo stimolante ricordo di un set di David Helbock a Fano Jazz nell’estate 2021 (ne abbiamo parlato qui), dall’altra la curiosità di ascoltare finalmente dal vivo Camille Bertault, che in passato ho mancato di misura varie volte.
La curiosità doveva esser forte, se mi ha indotto a superare una certa mia freddezza verso le microformazioni e soprattutto quella verso la vocalità (in campo jazzistico le eccezioni le conto sulla punta delle dita di una mano).
Vedere insieme questi due musicisti mi ha inizialmente sorpreso: ho pensato ad un incontro estemporaneo, nato da quegli incroci occasionali tipici delle tourneè estive. Invece i due hanno alle spalle una collaborazione già consolidata, avviata anni fa tra le quinte di un festival che promuoveva incontri estemporanei tra musicisti che non avevano mai collaborato tra di loro, ed approfonditasi poi sino a sfociare nella registrazione del recente album ‘Playground’. Disco uscito per l’etichetta tedesca ACT, dettaglio non da poco: ha un catalogo nel quale non c’è traccia di deja-vu o di banalità trendy.

Ed infatti anche le cifre dominanti del concerto milanese del duo sono state originalità e creatività. Affrontare un set di oltre un’ora con un duo non è cosa facile: ma Helbock e Bertault hanno messo in campo un autentico arsenale di risorse tecniche e strumentali, offrendo agli ascoltatori un programma quanto mai variato sia nei registri espressivi che nello stile, entrambi molto diversi da brano a brano.
Ma non vorrei ingenerare un’impressione sbagliata. Cominciamo correggendo il tiro sulla Bertault. Tra i motivi della mia scarsa propensione per molta vocalità jazzistica odierna viene in rilievo una certa idiosincrasia per l’abuso dello scat e per un ostentato ed ipervirtuosistico inseguimento del modello strumentale. Ora Bertault ha un’assoluta padronanza di tutte queste tecniche, cui aggiunge anche una grande abilità nell’autocampionarsi ed a dialogare con sé stessa in tempo reale (sul palco del Blue Note si serviva di due separate linee voce), ma tutto questo non andava a scapito della sua marcata e vivace personalità di interprete, che dominava e controllava sempre questo invidiabile bagaglio tecnico. Le sue rielaborazioni di famosi standard strumentali come ‘Good Morning Headache’ ed il monkiano ‘Ask me now’ sono state animate dall’inserimento di suoi testi in francese, toccando spesso un’espressività così vivace da sfiorare a momenti la dimensione teatrale. Ironia, funambolica leggerezza, ma anche intensità hanno completato il quadro di una piacevole sorpresa che è andata al di là delle pur favorevoli aspettative iniziali. In una parola, una voce che non dimentica di esser significato, prima che suono, sia pur estroso e raffinato.
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L’Helbock che ho conosciuto l’esate scorsa a Fano era essenzialmente un caporchestra, intento a coordinare un’organico di notevole complessità ad onta delle sole tre persone che lo componevano. Nella serata milanese a fianco della Bertault invece si è visto all’opera il pianista.
Ed un pianista che non aveva nulla da invidiare alla compagna in termini di creatività nell’approccio allo strumento: a più riprese lo abbiamo visto letteralmente tuffato nella cassa dello strumento, dedito a manipolazioni di vario genere, sia manuali sulla cordiera (non è mancato qualche momento di piano preparato), che mediante un’elettronica molto calibrata e sempre lucidamente impiegata in chiave di complementarietà rispetto alle risorse acustiche del piano, proiettate a tratti verso una dimensione orchestrale tale da arricchire la musica del duo.
Helbock si è confermato pianista molto nitido ed incisivo, con una palpabile inclinazione percussiva. Pur rimanendo nell’ambito di uno stile essenziale ed efficace, la ricchezza di idee e l’originalità delle risorse tecniche messe in campo per realizzarle talvolta sfiorano un eclettismo sciolto e disinibito, che peraltro non scade mai nel kitsch o nell’ostentazione.
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Questa brillante personalità fa sì che il pianista austriaco sia tutt’altro che un accompagnatore supino ed in secondo piano, ma un partner alla pari della cantante, capace di irrompere alla ribalta dialogando creativamente con lei ed imprimendo marcate svolte e rapidi cambiamenti di clima alla musica del duo. Anche Helbock, al pari della Bertault, ha la capacità di spaziare fluidamente tra registri espressivi molto diversi ed a volte molto contrastanti tra di loro: forse mi sbaglierò, ma la grande naturalezza e l’efficacia dimostrate in questi passaggi mi hanno spesso fatto pensare ad un’eredità di Esbjorn Svennson.
A questo punto, va da sé che l’ascolto di ‘Playground’ sia caldamente consigliato, anche perché di mostra la stessa freschezza e brillante souplesse del set live, cosa non frequente tra i lavori concepiti in studio. Milton56
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