La settima edizione del festival milanese sta per scaldare i motori, e come gli anni scorsi mi accingo a fornirvi una panoramica del vastissimo programma, con il solito criterio del gusto e della curiosità personale.
Devo però premettere qualche considerazione a proposito di critiche a mio avviso abbastanza ingenerose che hanno colpito la manifestazione già qualche settimana fa, ed anche sulle nostre pagine Facebook.
Come ho già detto negli anni scorsi, JazzMi è una sorta di galassia: va sempre rammentato che il suo più autentico e caratterizzato nucleo è costituito dalla serie di concerti programmati al Teatro della Triennale. Ma sin dagli esordi la direzione artistica di JazzMi ha cercato di coinvolgere altre realtà della scena milanese, che fanno confluire loro iniziative nell’alveo di quello che potremmo definire il ‘JazzMi allargato’.
Questa scelta ha diverse motivazioni: in primis, rendere più vistoso e pervasivo l’impatto sulla città di quella che da subito si è presentata come l’unica occasione in cui il jazz guadagna una sua visibilità sulla scena cittadina, purtroppo solo per qualche giorno. Intenzione più che mai lodevole, considerato il tenace e prolungato ostracismo riservato a questa musica dalla Milano degli ultimi vent’anni.
In secondo luogo, si cerca di aprire nuovi spazi al jazz, nella speranza che a festival finito gli stessi possano proseguire un’attività più continua ed estesa nel tempo. Nobile intento, ma a distanza di sette anni i risultati ancora non si vedono, e la persistente asfissia della scena milanese va tutta sul conto delle realtà locali che si volevano rianimare.
In ogni caso, va tenuto ben presente che le suddette realtà locali coinvolte hanno una loro piena autonomia nelle scelte artistiche ed organizzative, non ultime quelle concernenti i prezzi. Ciononostante, agli occhi del largo pubblico è innegabile un riverbero di queste scelte sul ‘JazzMi hardcore’. Così se qualcuno vuole guadagnare un po’ di visibilità con la scelta kitsch di mandare in scena l’ex urlatore Bobby Solo, è il nocciolo duro di JazzMi ad esser colpito dagli anatemi sulla corrività delle scelte. Discorso in parte analogo potrebbe esser fatto a proposito dei prezzi di alcuni concerti collaterali, sensibilmente superiori alla media degli altri pur svolgendosi in sale di vasta capienza; comunque a questo riguardo va ricordato che il festival non gode di alcun sostegno economico né da parte del Comune di Milano (!!!), né da parte dell’ineffabile MIBACT (qui devo proprio mordermi la lingua…). Fortunatamente ci sono casi di rodato e felice affiatamento, come quello raggiunto con Blue Note e con Il Bonaventura, non a caso si tratta di due realtà da lunga data stabilmente e tenacemente impegnate sul fronte jazzistico; quest’anno poi si nota il coinvolgimento di sedi ed organizzazioni del tutto nuove, piccole realtà decentrate che spero possano iniziare una lunga navigazione.
Ma veniamo alle mie segnalazioni dal ‘cuore pulsante’ di jazzMi, quello della Triennale. Il 29 settembre ritorna il quartetto di Fabrizio Bosso, con ospite il sassofonista toscano Nico Gori. La formazione è equilibrata ed elegante, ma in questo caso si tratta di un rientro piuttosto speciale, perché il fuoriclasse della tromba si lascia alle spalle un brutto incidente che lo ha bloccato per parecchio tempo: un poco di sostegno non guasta, la musica sarà sicuramente di prima classe.
JazzMi prosegue la sua esplorazione della nuova scena inglese intrapresa sin dalle prime edizioni proponendoci prima Joe Armon Jones (30 settembre), pianista, tastierista, produttore che ha collaborato con Nubya Garcia, Theon Cross e da ultimo ha militato intensamente in Ezra Collective, formazione di notevole interesse, ma da noi meno esposta di altre di South London. Scavando coerentemente in questo filone, il festival ci propone quella che credo sia una vera primizia per l’Italia, Emma-Jean Thackray (7 ottobre), altro talento eclettico che si divide tra molti ruoli e strumenti (ma con una preferenza per le tastiere elettroniche): anche lei è immersa fino al collo nell’ambiente londinese, con intense collaborazioni con Theon Cross, Makaya McCraven, Nubya Garcia ed altri. Dettaglio significativo e rivelatore: è stata allieva di Keith Tippett… l’ombra del British Jazz degli anni ’70 si allunga.
Nella serata dell’1 ottobre vanno in scena due set differenti: il primo con il gruppo turco di Ilhain Ershain che promette una musica di sintesi all’incorocio di molti mondi. Il secondo è appannaggio di Michael Leonhart con il rapper/batterista/bassista JSWISS : ho molto apprezzato Leonhart su disco alla testa di grandi orchestre che evocavano spesso le raffinate e cangianti complessità di quelle del Gil Evans elettrico, sarà interessante vederlo alle prese con una altro mondo musicale, con cui però non manocano affinità potenziali (anche Leonhard è un abile manovratore di elettroniche, oltre che della sua tromba).
Nella programmazione del Festival si è aperto un vuoto incolmabile: quello di Jamie Branch, prematuramente scomparsa pochi giorni fa. Jason Nazary, suo partner in ‘Anteloper’, non ha rinunziato a ricordarla con una sua performance in solo, che in parte rielaborerà materiali che avrebbero dovuto esser proposti dal duo (8 ottobre).
Del quartetto del trombettista Avishai Cohen (7 ottobre) è superfluo parlare, trattandosi di formazione di fisionomia consolidata. Invece il trio Ill Considered è altra occasione rara (e forse unica alle nostre latitudini): questi sax, basso e batteria vengono anche loro da Oltremanica e presentano una musica fluidamente improvvisata di grande fascino (2 ottobre).
Nonostante si tratti di ‘cosa nostra’, non è poi così frequente ascoltare il Next Quartet di Claudio Fasoli (9 ottobre), che ha alle spalle una recente prova discografica di grande interesse: Fasoli è voce personale ed ormai inconfondibile della nostra scena, ma questa raffinata band mi sembra che aggiunga colori nuovi alla sua già ricca tavolozza.
Cosa dire di Vijay Iyer (4 ottobre) e di Craig Taborn (9 ottobre)? Che oggi sono le punte di diamante della sperimentazione jazzistica, non solo in campo pianistico? Che i loro pianoforti sono degli autentici continenti musicali tuttora largamente inesplorati? Che negli ultimi mesi ho fatto centinaia di chilometri per andarli a sentire? Due appuntamenti semplicemente imperdibili, vedendo le due date così vicine mi verrebbe da sognare un bis di quel loro affascinante duo a Budapest, fortunatamente catturato nel magico album ‘The Transitory Poems’ .
Sul palco della Triennale sfilerà anche altro, che lascio a voi scoprire qui. Dal canto mio, mi limito ad osservare che in questo cartellone non mi sembra di vedere né polvere, né ovvietà. Anzi, considerata la povertà della scena milanese (soprattutto in termini di apertura internazionale), tenuta presente la molteplicità di fasce di pubblico che il ‘JazzMi Hardcore’ regolarmente mobilita, mi sembra che siamo in presenza di proposte non solo di gran livello, ma anche di notevole originalità (molte sono vere novità per l’Italia) e con una certa coerenza interna. C’è di che consolarsi, anche alla luce della malinconica parabola che stanno imboccando festival ‘di tendenza’ che pure avevano alle spalle molti anni di radicamento (S.Anna Arresi, per esempio).
Rinvio una prossima puntata uno rapido sguardo agli altri filoni paralleli del ‘JazzMi federato’, che è anche film, incontri etc. Stay tuned, come sempre. mIlton56
Beh, almeno qui fatecelo sognare questo straordinario incontro…
Grazie!
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Siamo costretti ad annunciare la cancellazione del concerto di Fabrizio Bosso di giovedì 29 settembre e di quello del 2 ottobre di Fabrizio con Mario Biondi e gli High five quintet.
Per ragioni di salute, Fabrizio Bosso non può ancora svolgere attività concertistica.
Fabrizio è colonna portante oltre che del suo progetto “We Wonder”, anche dell’High Five Quintet Reunited, motivo per cui entrambi gli spettacoli non potranno avere luogo e verranno riprogrammati per l’edizione 2023 di JAZZMI.
Dal sito Fcbk di JazzMi
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