Attenzione: questo articolo contiene limitate tracce di jazz
In questo periodo, per gli attempati amanti del rock meno omologato, è tempo di festeggiare. E’stata infatti da pochi giorni pubblicata la ristampa del quarantennale di un disco fondamentale per il periodo che segnò il passaggio dal punk a forme più elaborate, in seguito riassunte sotto l’etichetta grunge. I Dream Syndicate formati da Steve Wynn e Kendra Smith agli inizi degli anni ’80, avevano, in realtà, riferimenti più sofisticati – come Lou Reed ed i Velvet Underground – quando iniziarono a registrare le loro canzoni agrodolci poi confluite nel primo album “The day of wine and roses“(1982), che in breve termine li catapultò fra i preferiti protagonisti del rock alternativo di quegli anni, in palese contrasto con le bands affascinate dall’elettronica e dall’avvento tecnologico. Con quel disco, apprezzato da tutti gli appassionati di rock alternativo, divennero in breve punto di riferimento del cosiddetto Paisley Underground, la scena di bands basate a Los Angeles che si proponeva di rinverdire, alla luce dei trascorsi punk, i movimenti musicali legati alla psichedelia ed all’acid rock di oltre un ventennio prima.
“The medicine show”, celebrato in questi giorni, dopo che Wynn, principale autore dell’opera, è riuscito a rientrare in possesso dei diritti sui nastri originali, pubblicando con la sua etichetta Down There, risorta per l’occasione, una sontuosa edizione in 4 cd fitti di materiale originalie rimasterizzato, registrazioni live, demos e versioni alternative, è il secondo album dei Dream Syndicate ed uno dei più importanti. Ovvero quello che rappresentò un balzo in avanti per maturità di scrittura e capacità di attingere a diverse suggestioni, dalle ballads di velluto alle improvvisazioni chitarristiche, dal rock melodico a sferzanti atmosfere dark, e che rimane il simbolo di una band e di un autore in perenne movimento. Un piccolo miracolo alternativo che mette in fila otto brani baciati da immediatezza e bruciante espressività, rimasto nel cuore di moltissimi amanti della band.
Il motivo per cui ho azzardato a parlarne qui sta nel titolo, che è anche una delle più belle composizioni del disco , riportato nel cofanetto Down There in ben sette versioni diverse, fra riprese live, versioni alternative e gli originali otto minuti rimasterizzati in splendida veste sonora. Si tratta di un lungo brano di impronta psichedelica dominato dai dialoghi fra le chitarre elettriche che si intrecciano, si separano e si ritrovano su una base ritmica metronomica che scandisce un testo dedicato ad una intima serata nella quale “John Coltrane è sullo stereo , ed in frigo c’è una buona bottiglia”.
Titolo e brano di grande fascino, che con il jazz può avere in comune, oltre al protagonista, soltanto l’attitudine a rappresentare un trampolino di lancio per lunghe jam improvvisate, spesso estese, nella storia dei concerti della band, ben oltre la durata ammessibile su un disco.
Per i curiosi non avvezzi a vicende rock, solo un accenno alle successive vicende della band.
Dopo altri due album di buona fattura “Out of the grey” e “Ghost stories“, verso la fine degli eighties, con un tenace seguito di appassionati ma mai un vero e proprio successo commerciale, la band, a causa di problemi produttivi e relazionali, decise di fermare le attività, lasciando Steve Wynn a sviluppare una oramai trentennale carriera solista ricca di episodi riusciti ed altri più ordinari, con decine di registrazioni a proprio nome ed un never ending tour da hobo contemporaneo, che lo ha portato spesso anche dalle nostre parti con alcuni dei compagni d’avventura di quei tempi. Otto anni fa il chitarrista ha riformato con nuovi membri i Dream Syndicate, e da allora la band ha pubblicato ben quattro albums (usiamo il termine desueto volutamente, parlando di musica d’altri tempi), ultimo dei quali nel 2022 il variegato “Ultraviolet battle hymns and true confessions” (Fire records), e ripreso i concerti dal vivo . Senza mai scordare quello stereo con sopra John Coltrane.
Un altro dei caposaldi di “The medicine show”, “Burn”.

Davvero un gran disco.
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