Le vendite di dischi jazz continuano a zoppicare, sotto la soglia del famigerato tre percento del mercato, ma la produzione di CD/LP/files jazz sembra accelerare di giorno in giorno. Questa è una contraddizione evidente, degna di un serio studio che qualche coraggioso studioso o qualche giornalista volenteroso potrebbe intraprendere. Parte della spiegazione, ovviamente, è l’impatto della tecnologia. Ai tempi degli LP, la costosa attività di produzione discografica era dominata dalle grandi aziende. Ogni major e casa discografica indipendente pubblicava, al massimo, qualche album jazz al mese. Per il critico o il recensore, stare al passo con le uscite era impegnativo ma assolutamente gestibile.
I progressi digitali hanno reso possibile la produzione di CD a basso costo. Ogni musicista oggi può diventare produttore di se stesso, l’avvento del digitale e di piattaforme come Bandcamp o Soundcloud ha dato la possibilità ad ogni artista di essere indipendente (o quasi) dalla casa discografica e cosi’ ogni settimana escono centinaia di nuovi album. I musicisti usano i CD stampati in poche decine di copie, come gli attori usano le foto patinate 8×10 e gli avvocati usano i biglietti da visita, per arrotondare i guadagni e vendere al termine di ogni concerto. Chi scrive di musica riceve copie di quei CD o files da scaricare, molti più album di quanti ne possa ascoltare. Parlando di questo problema con amici e altri recensori musicali, il quadro che ne esce non è dei migliori. I più coscienziosi si sentono altrettanto frustrati e non sanno cosa fare con la valanga di album, se non lasciarli accumulare nella speranza di identificare quelli che meriterebbero di essere ascoltati. Spesso poi l’invio di album è condizionato da pressanti richieste di recensione, cosa del tutto comprensibile, ma altrettanto impossibile nelle quantità pervenute.
Personalmente non ho mai ceduto a pressioni di alcun tipo, soprattutto se poi i contenuti non mi paiono all’altezza. Cosi’ facendo ho scontentato molti, riuscendo però nell’intento di sfrondare gli invii e di mantenere una coerenza di ascolti e scrittura.
Per un semplice appassionato di musica , questa situazione potrebbe essere vissuta con incredulità e un pizzico di invidia, considerando il costo degli album nei pochi negozi ancora rimasti in piedi, ma per chi a vario titolo bazzica da molti anni l’ambiente , sa che un’enorme percentuale dei dischi accumulati non vale un secondo ascolto. Il vero problema semai è trovare il tempo per un primo ascolto. L’ascolto è un’attività lineare e solo un numero limitato di album da settanta minuti può essere seriamente ascoltato in una giornata, senza parlare poi del tempo richiesto per scriverne una recensione. Quindi, si cerca di rendere giustizia all’enorme quantità del lavoro dei musicisti che meritano di essere ascoltati, e, en passant, si spera di non trascurare il prossimo Charlie Parker, Bill Evans o John Coltrane per manifesta mancanza di tempo.

Sono latore di un commento dell’Impolitico. “Ogni musicista oggi può diventare produttore di se stesso…”: purtroppo. Sono i grandi produttori quelli che mancano oggi, manca la loro funzione di filtro e mediazione tra musicisti e pubblico. “Il produttore è il primo ascoltatore”, lo dice Keith Jarrett, non proprio la modestia fatta persona. Valanghe di album concepiti come ‘demo’ promozionali hanno sostituito opere ben più meditate e rifinite, che infatti in molti casi sono rimaste nel tempo ed hanno plasmato l’immagine di un musicista. L’immagine del jazz dei nostri giorni rischia di esser quindi labile e sfuocata, se non addirittura inesistente, se si pensa che questa massa di autoproduzioni costituisce la massa sonora destinata all’acquisto a peso da parte dell’industria dello streaming. Anche la rarefazione di etichette di forte profilo e portatrici di una loro estetica ben definita è un gran problema, soprattutto qui da noi e particolarmente per i giovani musicisti all’esordio, che spesso hanno una scarsa pratica del palco e della relazione con il pubblico. Comunque tranquillizziamoci: in questa massa di ‘album demo’ è quantomai difficile che si celi il nuovo Monk od il redivivo Miles. Quelli crescevano a bottega dai maggiori loro ed erano accompagnati nelle lro carriere dagli ALfred Lion, dai Norman Granz, dagli Orrin Keepnews, dai Bob Thiele… senza i quali difficilmente avrebbero affinato la loro personalità così come hanno fatto. Milton56 ‘per procura’ 🙂
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