Hobo reinterpreta Robert Wyatt

Quanto alle sue canzoni, possono essere sghembe, certo; a volte eccentriche. Ma per me hanno più senso della maggior parte delle cose che succedono oggi nel mondo. Sempre più, Robert Wyatt mi pare la voce della ragionevolezza. Canzoni savie per tempi folli. Non c’è da stupirsi che io, come innumerevoli altri, ne sia stato ispirato e sollevato per così tanto tempo e che gliene sia grato per sempre.

Jonathan Coe

I giovedi’ al Libero Pensiero di Lecco sono riservati al jazz o comunque alle musiche che con esso hanno a che fare . Occasione ghiotta quella di ascoltare il duo Hobo, Massimo Giuntoli voce e tastiere e Eloisa Manera violino e voce nella riproposizione integrale di Rock Bottom, l’album epocale di Robert Wyatt del 1974. Una musica che non ha perso un grammo della sua visionarietà, una voce inconfondibile e inimitabile, un gruppo di musicisti variegato ma coeso che hanno dato forma ad un album manifesto di una sensibilità unica tra rock e jazz.

La formazione comprende alcuni tra i migliori musicisti della scena musicale britannica di quel tempo: Richard Sinclair e Hugh Hopper si alternano al basso, l’ex Gong Laurie Allan suona la batteria in due tracce, l’inquietante e ironica voce di Ivor Cutler appare in due brani, in uno dei quali gli fa da contrappunto la tromba del virtuoso Mongezi Feza, la Benge canta in Alife supportata da Gary Windo al clarinetto e nel brano finale compaiono Mike Oldfield alla chitarra e Fred Frith alla viola. I bizzarri e fantasiosi disegni di copertina sono stati eseguiti dalla Benge, che disegnerà anche tutte le copertine degli album successivi di Wyatt.

Rock Bottom fu pubblicato dalla Virgin Records il 26 luglio del 1974, lo stesso giorno in cui Robert sposò Alfreda. Nel settembre successivo, l’album fu promosso al teatro Drury Lane di Londra con un grande concerto cui parteciparono alcuni tra i migliori rappresentanti della scena di Canterbury.

Su suggerimento di Alfreda, che trovava le precedenti opere di Wyatt troppo ‘dense’, l’autore optò per un sound dai toni più calmi e ispirati, con frequenti spazi fra le lunghe note che esaltano le sue qualità vocali. Al contrario di quanto succedeva nei Matching Mole e nei Soft Machine, dove contemporaneamente suonava la batteria e cantava, le sue condizioni fisiche gli imposero di registrare separatamente gli strumenti e la voce, sulla quale poté concentrarsi con maggiore profitto. La ricerca di una nuova forma vocale si manifesta anche con l’utilizzo di diverse parole da lui inventate (ad esempio “No nit not, nit no not, nit nit folly bololey” e “Trip trip pip pippy pippy pip pip landerim”), delle quali non sa dare un significato letterario ma ne ha sottolineato l’importanza sotto il profilo emotivo e artistico. La maggior parte delle tracce sono ricerche interiori dell’artista e canzoni d’amore dedicate alla Benge, che ha ispirato i testi con le proprie poesie, ma non viene citata tra gli autori per la sua inclinazione a restare nell’ombra.

L’album esce dagli schemi della fusion sperimentale in cui era immerso il secondo Matching Mole, per calarsi in uno stato d’animo introspettivo che fonde le dolci atmosfere di Moon in June e O Caroline alle follie patafisiche di Las Vegas Tango. Il dadaismo dei precedenti lavori viene qui smorzato e la pacatezza che contraddistingue l’opera consegna agli ascoltatori un nuovo Wyatt, rassegnato, maturo, saggio e dolce allo stesso tempo.

Ovviamente la riproposizione del duo Hobo non poteva che essere minimalista, sia nella strumentazione che nell’approccio alla materia musicale, ma, fatta salva l’unicità inimitabile della voce di Wyatt, la formula funziona grazie ad uno sguardo aperto e rispettoso, dove i temi vengono riproposti nella loro inconfondibile veste, ma poi rielaborati e reinterpretati con piglio e autorevolezza dai due strumentisti. Unici brani non appartenenti all’album Rock Bottom l’iniziale O Caroline, Mass Medium e il bis P.L.A., entrambi provenienti da Old Rottenhat, suggellano un’ora e poco più di una serata all’insegna, per noi diversamente giovani, di piacevoli ricordi, di dolci malinconie e di grande forza introspetttiva. Oltre che di grande e imperitura musica.

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