Purtroppo il laser del Cd non si può vederlo al lavoro…..
Ed infatti stanno proprio uscendo in questi giorni… Disclaimer (come dicono gli avvocati che hanno visto troppe serie americane): si tratta di album di due musicisti che seguiamo da parecchio tempo con molta partecipazione, ed anche con un po’ di trepidazione, perché promettono molto e non vorremmo restare delusi.
Cominciamo con Alexander Hawkins, che pubblica il suo “Iron into Wind” presso la svizzera Intakt. Etichetta di grande personalità (vedi l’incisiva e nitida copertina, bella lezioncina di stile che molti concorrenti dovrebbero meditare), rigorosa nelle sue scelte, tra cui quella di non scendere a compromessi con il mondo dello streaming. Quindi niente anticipazioni, neanche di qualche ‘traccia pilota’. Beh, devo dire che non mi costa esitazione raccomandarlo comunque a scatola chiusa. Ho avuto varie occasioni di ascoltare Hawkins in varie sfaccettature della sua poliedrica personalità: sideman dell’inossidabile vibrafonista etiope Mulatu Astatke, compagno di strada del nostro Gabriele Mitelli, ormai simbiotico partner di Roberto Ottaviano nelle sue ultime notevoli prove, leader di un suo gruppo. Devo però dire che l’occasione in cui mi ha convinto di più è stata appunto quella di un set di solo piano. Alcuni appassionati, anche di lungo corso, nutrono una diffidenza non del tutto immotivata per questa ‘forma’ jazzistica, che effettivamente presuppone un mondo espressivo quasi debordante per esser compiutamente sfruttata, per tacere di una tecnica brillante ed estroversa, ingredienti che di questi tempi non sono proprio moneta corrente, soprattutto se combinati tra loro. Beh, a far da garante per l’interesse di questa registrazione è proprio la formazione del tutto composita ed anticonvenzionale del pianista inglese, che riesce con piena naturalezza a convogliare sulla tastiera un mondo musicale così ricco di rimandi e suggestioni da far spesso sembrare pochi gli 88 tasti.
Altra figura a tutto tondo è quella di James Brandon Lewis, a tal punto emersa dopo un lungo apprendistato, che persino da noi ha avuto occasioni di farsi conoscere (grazie ad un pugno di direttori artistici con le orecchie diritte, purtroppo si contano sulle punte delle dita di una mano). Qui siamo di fronte ad un jazzman purosangue, che ha offerto ottime ed avvincenti prove in organici ridotti come il trio ed addirittura il duo, abbiamo avuto modo di parlarne in ‘altre vite’ di Tracce. Il pubblico dei festival italiani di qualità ha avuto modo di conoscerlo soprattutto per il suo progetto ‘No Filter’, caratterizzato da una sentita interiorizzazione del mondo hip hop e da un impatto sonoro alquanto duro e privo di compromessi e concessioni alla facilità accattivante. In “An Unruly Manifesto” il trio di “No Filter” con Luke Steward al basso e Warren Trae Cudrup III alla batteria si allarga a comprendere Anthony Pirog alla chitarra e Jamie Branch alla tromba, due presenze anch’esse recenti nel circuito concertistico italiano. Essendo un dichiarato ‘manifesto’, non può mancare una espressa dedica ad Ornette Coleman e Charlie Haden (non del tutto scontata, considerato il precedente percorso e le ascendenze sin qui mostrate da Brandon Lewis), nonché al ‘Surrealismo’ (riferimento un po’ criptico…. soprattutto per un artista molto immerso nel nostro tempo, penso che si riferisca a cose americane più che europee). In questo caso Bandcamp ha consentito qualche fugace ascolto: la prima impressione è che la dedica ad Ornette ed Haden sia tutt’altro che retorica, molto gusto per la melodia e la polifonia tipica del primo mitico quartetto colemaniano sono presenti anche qui, così come gli echi di un passato arcaico (“Haden is Beauty”). Ovviamente il sax tenore torreggiante e stentoreo di Brandon Lewis non può certo esser accostato al chiaro contralto di Coleman, ma il nostro sembra in qualche modo contenere e limitare la sua potente eloquenza di altre occasioni, anche per sfruttare il dialogo con la graffiante tomba di Branch. Alle loro spalle è sempre in evidenza una ‘ritmica’ in cui emergono con evidenza suoni elettrici ed un drumming duro e scabro che a volte sostiene ed a tratti inquadra la frontline. Mi sbaglierò, ma sembra serpeggiare (anche solo inconsapevolmente) qualche ricordo del massiccio e travolgente beat dei Prime Time (parentesi elettrica di Ornette, altrettanto incompresa quanto quella del penultimo ed ultimo Miles). Acquisti in formato fisico e digitale sempre sulla citata Bandcamp, il disco appare sotto un’ulteriore etichetta indipendente (scelta non nuova, ma che a mio avviso andrebbe più meditata, almeno dalla nostra riva dell’Atlantico).
Che Brandon Lewis sia uomo ‘no frills’, dalle idee molto chiare e sobriamente manifestate lo si ricava anche da un’interessante intervista concessa a Nazim Comunale per Alfabeta 2, lettura consigliata a prescindere, ma da cui mi piace estrapolare due battute, molto significative:
“..suono ogni volta come se fosse l’ultima volta, per me. Quindi non ho tempo per altro”
“Voglio evadere da prigioni nostalgiche secondo un punto di vista personale, non voglio morire di nostalgia, spingere le cose in avanti” (“Escape Nostalgic Prisons” è il titolo di un brano del nuovo album, N.d.R.)
Ce ne è abbastanza per capire che spira aria molto diversa da quella a cui siamo abituati alle nostre latitudini, almeno per quanto riguarda le ribalte sotto i riflettori…. motivo di curiosità in più. Milton56
A mio modesto parere il disco di James Brandon Lewis è un gran disco. Improbabile sentite questo gruppo dal vivo da queste parti, ma mi piacerebbe sbagliarmi.
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Mah, Loris, Il trio ‘No Filter’ – proposta altrettanto impegnativa dell’attuale – ha fatto due-tre passaggi in Italia, che avrebbero potuto esser di più perché Fano Jazz by The Sea che l’aveva scritturato l’estate scorsa ha subito la cancellazione dell’intera tournée europea da parte di Brandon Lewis (evidentemente ci sono problemi di programmazione anche fuori d’Italia). Per tacere delle apparizioni in singolo del nostro (il testa a testa con David Murray a S.Anna Arresi dev’esser stata cosa memorabile, tra l’altro i due si trovano sulla stessa linea di discendenza). Io non dispererei, anche perché Brandon Lewis ha dimostrato di avere un certo appeal su una frangia non trascurabile di pubblico giovanile, naturalmente non quello di Allevi o Fabri Fibra, e la cosa non è sfuggita ai pochi organizzatori con orecchie fini, speriamo che riescano ad imporlo ai loro committenti e sponsor. Milton56
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