Potrebbe sembrare la ragione sociale di uno studio legale britannico, in realtà dietro la sigla Binker & Moses si trova una delle più interessanti realtà della new wave del jazz londinese, un esplosivo duo sassofono/batteria giunto pochi mesi fa alla terza prova discografica per l’etichetta Gearbox con il live “Alive in the east?” .
Chi sono Moses Boyd a Binker Golding? Ecco il loro curriculum: diplomati al liceo del rock classico (Hendrix, Zeppelin, Pink Floyd, Yes), specializzati in hip hop e jazz , sempre con predilezione per i grandi nomi del passato (Rollins, Davis, Henderson, Public Enemy, Madlib), hanno completato l’apprendistato con un master dedicato ai duetti sax/percussioni (Interstellar space, Roach/Shepp, Roach/Braxton ). In realtà, nel loro passato ci sono anche studi accademici sul jazz al conservatorio, ed una lunga gavetta come turnisti nell’ambiente jazz della capitale britannica. L’incontro cruciale avviene quando i due si ritrovano nella band della cantante soul jazz Zara McFarlane, e maturano la decisione di dare vita ad un nuovo progetto musicale. Risultato : il primo album “Dem ones”(2015) , totalmente improvvisato e registrato in poche ore, ritmiche hip hop scandite dal drum set e sax impegnato a fabbricare grooves a ripetizione, alternando toni latin (“Man like GP”) schegge free (la dissonante “ESU”, l’attacco frontale di “Retox”), e lunghe digressioni che trovano l’apice nei dieci minuti abbondanti di “The creeper”, sorta di collage di temi e spunti tematici giustapposti sulla rocciosa base ritmica, con frequenti sconfinamenti verso territori free.
Si replica due anni dopo, con il doppio “Journey to the mountain of forever”, avvolto in cover da acid trip: se il primo disco procede sulla medesima lunghezza d’onda dell’esordio, ma con una forma delle composizioni maggiormente a fuoco, (il funk di “Intoxication from the Jahvmonishi Leaves”, il tema gioiosamente latino di “Fete by the river”, le variazioni di “Trees on fire”, la rarefatta atmosfera di “Leaving the Now Behind”, da cui fiorisce un lungo ed assorto solo di sax) , nella seconda porzione la musica si apre ad una formazione allargata che coinvolge il maestro dell’improvvisazione Evan Parker, la tromba di Byron Wallen , l’arpa di Tori Handsley e le percussioni di Sarathy Korwar e Yussef Dayes, in prestito dal duo Yussef Kamaal. E le composizioni, di conseguenza, sono attraversate da uno processo di trasformazione che dalle poliritmie della trascinante “Valley of the ultra blacks” e dal blues per tromba e sassofoni di “Ritual of the roots”, sfiora i confini del free (“Entering the infinite”), ma più spesso modella lunghe e dilatate improvvisazioni che in ambito rock si definirebbero psichedeliche, nelle quali oltre ai saxes assumono un ruolo determinante le corde dell’arpa (“Gifts from the Vibrations of Light”) e le percussioni (At the Feet of the Mountain of Forever).
La medesima formazione anima “Alive in the east? uscito pochi mesi fa e registrato dal vivo nel giugno 2017 in uno dei luoghi di riferimento del nuovo jazz britannico, il Total Refreshment Centre di Foulden Road, sala concerti, studio di incisione e sede di eventi, di recente colpito da un’ordinanza che ne ha temporaneamente limitato l’attività, a causa di problemi con le licenze amministrative. Un’esibizione calda e partecipata costruita, a giudicare dai titoli, come una sorta di racconto naturalistico sull’evoluzione, che i Nostri aprono in totale disinvoltura con un lungo solo di batteria e percussioni (“The birth of light”) e chiudono con un dialogo fra arpa, tromba e sassofoni (“The death of light”). Fra i due estremi, un’ininterrotta performance ribollente di ritmo, nella quale le istanze astratte delle improvvisazioni sono costantemente “riportate a terra” dalla squadrata ritmica alla quale fornisce supporto essenziale l’uso peculiare dell’unico strumento a corde. I vertici si toccano nelle due lunghe composizioni collegate, “Children of the ultra blacks”, aperta da un lungo solo della tromba di Wallen, a cui fa seguito il sax che costruisce progressivamente un crescendo culminante nella incandescente sezione finale giocata in ostinato, e “Mishkaku’s tale”, meditativa processione di sax e batteria confluente in un blues del deserto nel quale l’arpa si traveste da chitarra elettrica. Ma ci sono anche soli di sax in respirazione circolare (“How air learnt to move”), incalzanti funk corali (“How land learnt to be still”), compatte barriere ritmiche black (“The river’s tale”) e tante altre influenze che ognuno potrà appassionarsi a scoprire seguendo i percorsi multiformi e, magari, ballando ai ritmi di Binker&Moses.