Le Rex: dalla Svizzera con ottoni (e sorprese).

Ogni uscita della Cuneiform Records è in grado di riservare qualche sorpresa e smontare qualsiasi pregiudizio che possa precedere l’ascolto, in piena coerenza con la filosofia del fondatore ed attualmente one man band della label Steven Feigenbaum, instancabile ricercatore di musiche possibili al confine fra jazz, rock ed altri idiomi non convenzionali. Prendiamo ad esempio questi svizzeri Le Rex ed il loro “Escape of the fire ants” quarta uscita discografica e seconda per la compagnia di Silver Spring: apparentemente l’ennesima brass band composta da due sax, alto e tenore, affidati a  Benedikt Reising e Marc Stucki, il trombone di Andreas Tschopp, la tuba di Marc Unternährer, e la batteria di Rico Baumann. Facile prevedere una musica basata su avvolgenti riffs dei fiati e ritmicamente dinamica, soprattutto considerando i trascorsi da buskers dei cinque musicisti. Poi, però, si inizia a considerare che il sax di Stucki è cresciuto alla scuola di illustri maestri statunitensi quali Ellery Eskelin e Tim Berne, che i membri della band hanno una forte connessione con la cultura del sud Africa, dove collaborano con affermati musicisti jazz. Ed a completare (e complicare) il quadro, c’è una passione della band per l’estetica indie rock che ha condotto a scegliere studi e tecnici di registrazione distanti dall’ambiente del jazz. Date tali premesse, “Escape of the fire ants” sembra fatto apposta per smentire i pregiudizi di cui sopra. Nelle dodici tracce accanto ai magnetici grooves costruiti dai giochi ad incastro tra i fiati edificati sulla solida base ritmica di batteria e tuba della title track o di  “Bandumeh Landing” , compaiono influenze della cultura musicale africana (la melodia costruita su concatenazioni ritmiche di “Alimentation generale”), lo swing a tinte forti di  “Harry Stamper Saves the Day” (titolo ispirato al personaggio di  Bruce Willis nel film  Armageddon ), il free della conclusiva “Der Knochige Dürre” “ i tempi dispari di “Glow” , la danzabilità di “The Funding” e di “Ballad for an architect”. E, accanto a questi episodi di più marcata impronta ritmica, alcuni brani lirici , nei quali il quintetto si trasforma in una piccola orchestra ricca di colori, sfumature e sofisticati dialoghi fra gli strumenti, in un gioco metamorfico che si ripete spesso ( i crescendo da big band di  “Smoking Flowers” condotta dalla tuba, le atmosfere “orchestrali” immaginifiche di “One must imagine Sisyphus happy”, il quadretto poetico di “Elliot’s theme). Il tutto condotto con grande naturalezza e spontaneità,  come se passare da una parata di strada ad una paludata sala da concerto fosse la cosa più naturale del mondo . “Suoniamo sempre senza spartiti sul palco -dice Stucki – e per questa registrazione abbiamo seguito lo stesso metodo: per due giorni al mese abbiano studiato i brani e poi li abbiamo rifiniti nel corso di piccoli concerti. Suonando sulle strade abbiamo sviluppato una forte intesa ed un comune sense of humor che si traduce nella musica. Quando suoni sulla strada devi intrattenere, essere divertente, e quindi ti muovi molto: non è solo una questione visuale, se i fiati si spostano dalla batteria, la musica tende a cambiare e si creano di continuo nuove combinazioni”. Loro si muovono, ed a noi non resta che tentare di seguirli, ipnotizzati dai ritmi ed ammaliati dalle melodie di una brass band decisamente non prevedibile.

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