Tom Wolfe, nel suo celebre romanzo del 1970, introduceva il termine e lo consegnava alla storia: i radical chic erano i tipici “rivoluzionari da salotto“, antimilitaristi, hippy, mondani, figli di controculture ribelli e di un consumismo che macinava insieme segni della contestazione e segni del mercato.
Il jazz è una musica strana: mille volte dato per morto, per inutile, per sorpassato, e sicuramente percepito come di nicchia, elitario, radical chic. Eppure sempre capace di offrire nuove idee al corso generale della musica, sempre capace di rinnovarsi e a sorpresa di coinvolgere, di portare gente in piazza. Torino è un po’ come il jazz: ritrosa, minoritaria, polverosa, fané.
Dario De Marco, Web content editor di Esquire Italia, si occupa principalmente di letteratura fantastica e pizze fritte.
Fonte: https://www.esquire.com/it/cultura/musica/a27234478/torino-jazz-festival-concerti-intervista/
Il jazz radical chic? E’ pur vero che il radical chic i conti li fa saldare al maggiordomo (semprechè si sia ricordato di corrispondergli gli stipendi arretrati), ma egualmente lascia interdetti il fatto che si stentano a trovare quattro soldi per farne ascoltare un po’ in contesti accessibili, quando si spendono veri patrimoni per cose che già dopodomani ci faranno ridere. Comunque in questo simpatico remake degli anni ’30 meglio esser frivoli radical chic, che rednecks linciatori con cappuccio e croce di fuoco al seguito ;-). Milton56.
P.S.: per Tom Wolfe il prototipo del radical chic era rappresentato da Leonard Bernstein….. avercene a queste latitudini…..
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