“Emily Dickinsongs” Daniele Cervigni

Cucire un abito musicale a composizioni nate nel mondo della poesia è sempre operazione complessa ed assai rischiosa. Le insidie in agguato derivano dalle difficoltà di adattare la narrativa sonora a quella dettata dai versi, evitando il rischio della sottomissione, operando in una condizione di libertà creativa condizionata. Se poi le poesie scelte per la trasformazione in musica sono quelle di Emily Dickinson, poetessa statunitense vissuta nel secolo diciannovesimo, che con la sua vita e le sue opere ha rappresentato valori e sensibilità universali, l’azzardo aumenta sensibilmente. Bisogna riconoscere al giovane chitarrista marchigiano Daniele Cervigni il coraggio di avere scelto una sfida improba e di averla portata a termine con grande efficacia e personalità, insieme ad un gruppo di giovani musicisti di estrazione jazzistica, la cantante Anna Laura Alvear Calderon, il pianista Emanuele Evangelista, il bassista Lorenzo Scipioni ed il batterista Pako Montuori, che forniscono contributi essenziali ad un progetto vissuto in un palbabile clima di condivisione anche emotiva Il lavoro di Cervigni parte da lontano, da un incarico ricevuto da studente al Conservatorio di Fermo di scrivere liberamente una composizione per chitarra e voce su un testo della Dickinson, eseguito nella rassegna “Invenzioni su una voce”, per poi evolversi in tesi di laurea e quindi nel lavoro discografico pubblicato oggi dall’etichetta Improvvisatore Involontario. La scelta felice del chitarrista è stata quella di comporre musica in piena libertà, guardando al presente ed evitando del tutto i condizionamenti cronologici rispetto all’opera poetica: ne deriva un affresco jazz/rock di nove tessere, altrettante poesie in musica,  che richiama autorevoli precedenti, in particolare, complici anche le assonanze timbriche della cantante Alvear Calderon, la svolta “jazz” di Joni Mitchell. E’ evidente come Cervigni guardi a Pat Metheny, ed alcune fra le migliori composizioni del disco, quelle più riflessive e raccolte come “I heard” o la “I see ” da cui tutto ebbe inizio, o ancora “When i was small”, dalle tinte maggiormente rock, contengono alcune parti soliste della chitarra che echeggiano lo stile del chitarrista statunitense.

Il lavoro non è però, in modo assoluto, un omaggio/derivazione ai/ dai modelli che emergono all’ascolto, mantenendo per tutta la sua durata, anche grazie alle performance dei musicisti, il raffinato e sensibile pianoforte di Evengelista, il corposo contrabbasso di Scipioni (ascoltatelo nel solo di “The wind” che conflusice nel groove principale del brano) e la batteria leggera ma essenziale di Montuori, una precisa personalità. A cui contribuisce in modo determinante  la prova vocale di Alvear Calderon, che riesce, attingendo ad un ampio campionario di tecniche, incluso la scat di “The Morning after Woe”, nell’impresa non semplice di rendere fluida e cantabile in modo naturale la ostica metrica delle poesie di Emily Dickinson, restituendo una piena intensità emotiva. Una bella sorpresa da parte giovani musicisti capaci di sperimentare senza timori.

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