Si , il gatto con il cappello in copertina è proprio lui, Gato Barbieri, il sassofonista argentino che il collega partenopeo Daniele Sepe ha voluto omaggiare con un disco nella sua tradizione migliore, quella che mescola jazz e musica popolare italiana e da tutto il mondo, con una predilezione affettiva particolare per il Sud America. Un progetto concepito insieme al percussionista free Hamid Drake, esteso poi ad una squadra di musicisti brasiliani ed argentini (Rovertinho Bastos, Roberto Lagoa), alle voci di Lavinia Mancusi e Dario Sansone, e con la partecipazione di jazzisti autorevoli come Aldo Vigorito, Roberto Gatto e Stefano Bollani, tutti coinvolti nelle pieghe della storia di Gato Barbieri. Perchè Gato? Sepe lo spiega senza veli nelle note di copertina. “Dopo gli studi al Conservatorio, mentre mi barcamenavo nell’ambiente musicale di Napoli, ebbi l’occasione di un provino in studio di registrazione : andò malissimo e non azzeccai una sola nota buona, paralizzato da una base a cui non riuscivo ad aggangiare un mio fraseggio. Per settimane ripensavo a quell’episodio per cercare il modo di fare un assolo in quella musica così elementare armonicamente ; mi venne in mente lui, El Gato, ed il suo suono graffiato, quello che esce dal sax quando oltre che soffiarci ci canti dentro. La volta successiva fui in grado di lasciare il segno, e da allora mi si aprirono le porte degli studi napoletani”. “The cat with the hat” contiene, in realtà, un solo brano del sassofonista di Buenos Aires, “Nunca Mas” incisa in origine con Dino Saluzzi ed Osvaldo Berlingeri su “Latino America Chapter One“, ma molti tasselli musicali che riconducono, per legami diversi, alla musica ed alla storia di Barbieri: dal brano iniziale “La Partida” scritto da Victor Jara ed interpretato spesso dagli Inti Illimani, alla celebre “Song for Che” di Charlie Haden, perla del primo album della Liberation Music Orchestra, qui proposta con una possente sezione ritmica che prevede doppio basso (Vigorito e Davide Costagliola) e doppia batteria (Drake e Gatto), fino al tema dal film “Spartacus”, liberato in tutta la sua ampiezza melodica e con un ruolo di rilievo assunto dal pianoforte di Bollani. Ma poi c’è “Montilla“, song popolare venezuelana interpretata con trasporto da Lavinia Mancusi, , due composizioni di Atahualpa Yupanqui, autore del Tecuman reso divinità da Paolo Conte “, la milonga “Los ejes de mi carreta” ed una versione virata in jazz di “Lunita tucumana” tradotta in “Io non canterò alla luna“, cantata da Dario Sansone, una versione ricca di percussioni dello standard “Canzone appassionata“, con un groove jazz rock da Napoli Centrale. E ancora milonghe (“Los eyes de mi carreta“), il brano gaelico “Mnà na h-Eiran” tratto dalla colonna sonora di “Barry Lyndon” ribattezzato “Donne d’Irlanda”, un tango classico (“Naranjo en flor”) ed un finale ironico omaggio a Bruno Martino (“Odio l’inverno”). Il tutto suonato con grande slancio, dinamicità e con la solita generosità ed autenticità che conosciamo come propria di Daniele Sepe, ed accompagnato da una accurata ricerca di aneddoti ed episodi illuminanti della personalità di Gato Barbieri. Fra i testimoni più prolifici, ovviamente, Enrico Rava, che con Gato ha condiviso anni di vita e musica. “Mi raccontava Enrico che Gato impazziva per Coltrane, come tutti. Dato che in Argentina c’è una buona tradizione di lavorazione del cuoio, Gato fece costruie una borsa per sassofono con le iniziali J.C. e la spedì alla Impulse. l’etichetta di Coltrane. Anni dopo, Coltrane venne a suonare in Italia ed Enrico e Barbieri partirono per l’evento. Tra il primo ed il secondo set riescono ad infilarsi in camerino, trovano Coltrane alle prese con un mare di ance sparse sul tavolo e, lì a fianco, la custodia regalatagli da Gato. Scattarono abbracci e fratellanza”. Esemplari infine le parole che Rava spende direttamente sul libretto del cd per descrivere la carriera e l’umanità di Gato, un jazzista emerso nel mondo del jazz come un uragano a metà degli anni ’60, con un suono carico di energia e pathos, cresciuto grazie all’intuizione di recuperare nella propria musica la tradizione popolare del suo paese, ed arrivato al successo planetario con la colonna sonora di “Ultimo tango a Parigi”, prima di un declino lento ma irreversibile . “Era una persona timida, con un gran senso dell’umorismo e molto divertente, se solo si fosse capito cosa diceva. Infatti si esprimeva in una specie di slang misto di spagnolo, italiano, con qualche parola di inglese. Insomma, le lingue non erano il suo forte, però quando suonava ti arrivava dritto al cuore”.
Daniele Sepe nel mondo di Gato.

1 Comment