Musica dagli inizi del ventunesimo secolo

Il nipote di mio nipote, se mai ci sarà, potrebbe nascere intorno alla fine del secolo. Casomai avesse una curiosità sulla musica che si suonava ai tempi del lontano antenato, Jamie Saft, Bobby Previte e Nels Cline provvedono a fornire un estratto che farebbe al caso. “Ho immaginato – spiega Previte-  che sarebbe stupendo se fra cent’anni qualcuno andasse su Google, o quello che ne sarà l’equivalente, a cercare “Musica dell’inizio del XXI secolo” e avesse come risultato questo“. Magari non si tratta della musica maggiormente ascoltata in questo scorcio di ventunesimo secolo, ma se la nostra epoca è caratterizzata da pulsioni estreme, contraddizioni, caos ed evoluzioni velocissime, e talvolta concede ancora di fermarsi a guardare un angolo di bellezza, ebbene questa musica ne può rappresentare egregiamente lo spirito. Nato in esito ad un tour statunitense della scorsa primavera nel quale la regola era che ciascuno dei musicisti mettesse in campo le proprie radici musicali per condividerle con i compagni (e si narra di epiche jams a base di “No quarter” dei Lede Zeppelin e “She’ s not there” degli Zombies), il progetto dell’inedito trio ha assunto su disco la forma di un lungo dialogo totalmente improvvisato fra l’organo hammond e le tastiere elettriche di Saft, la chitarra multiforme del membro dei Wilco e la batteria altrettanto imprevedibile di Bobby Previte.  L’iniziale impressione di una estesa, convulsa ed articolata jam psycho jazz si dirada con il crescere degli ascolti, mettendo in luce una vastità di influenze e suggestioni che popolano il mondo culturale dei tre protagonisti e qui trovano un terreno di scambio e dialogo fruttuoso e propulsivo di nuova vita musicale, ben rappresentato dalla foto di copertina scattata dal telescopio spaziale Hubble che mosta le galassie del nostro universo nella fase di formazione. Le serrate cadenze dell’iniziale “Photobomb” proiettano immediatamente l’ascoltatore nel pieno del maelstrom musicale, con la chitarra e l’hammond quasi indistinguibili a creare un vero muro di suono. “Paywall” e la seguente “Parkour” mettono in sequenza accenti hard e ritmica dub, soli psichedelici e free jazz, per poi virare verso una linea di basso swingante che conduce attraverso lo spazio elettronico ad un crescendo parossistico delle sei corde di Cline, e concludersi infine sulle onde ricorrenti del mini moog. La visione aperta e bluesy di Saft, la padronanza di Cline sia nel maneggiare il materiale più tradizionale che gli aspetti sperimentali e la visione progettuale di Previte confluiscono a modellare un’identità del gruppo che ha nell’imprevedibilità una delle sue caratteristiche. Succede quindi che in “The extreme present” un riff squadrato della chitarra origini un andamento dub che incornicia le parti soliste della stessa e dell’hammond,  che “Totes” ondeggi in libertà  fra cieli psichedelici, ove  la lunga “Occession” conduce la libera esplorazione verso derive noise, e la conclusiva “Flash mob” rende omaggio con un groove granitico alle cadenze motorik del kraut rock, prima di deviare verso una libera improvvisazione finale. Fra quelle e questa, i dieci minuti soul jazz di “The  new weird“, introdotti da un torrenziale solo di Saft all’hammond e conclusi in esplosione free, le cupe atmosfere sci -fi  di “Machine learning”  e l’incedere post rock di  “Woke” siglato dal riff della chitarra di Nels Cline.  A Saft le parole di sintesi sull’esito del progetto: “Nessuno  ha mai stabilito a priori cosa dovessimo fare , non c’era agenda ma fiducia, amicizia reciproca, rispetto ed amore,  e l’ascoltatore potrà assistere alla conversazione che abbiamo avuto.”

Una conversazione in cui immergersi, vista anche l’estesa durata,  con gradualità ed approfondimenti successivi. Questo il consiglio da lasciare anche al mio eventuale  lontano erede in cerca di interpretazioni sui tempi andati.

 

 

 

 

 

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