Dalla Puglia con mainstream

Se dal produrre e suonare jazz derivassero risorse economiche, la Puglia potrebbe rivendicare, anche in questo settore, la cosiddetta autonomia differenziata, unendosi  a quel gruppo di Regioni che, in ragione dei risultati raggiunti in alcuni settori produttivi,  stanno richiedendo al Governo di disporre di maggiori margini decisionali. Nella realtà dei fatti, preso atto che l’investimento rimane solo in cultura e buone vibrazioni,  rimane la constatazione che in questa regione si è consolidato un ricco e prolifico ambiente musicale da cui regolarmente provengono novità di cui dare conto. Come questi due album giunti sul mercato quasi contemporaneamente da parte di due navigati musicisti baresi più o meno coetanei, con alle spalle una solida fama a livello nazionale e numerose esperienze anche fuori dai confini italiani. “Parents“, del chitarrista Guido Di Leone, vede protagonista il trio completato dal contrabassista Paolo Benedettini e dal trombettista statunitense Jim Rotondi, esponente di spicco dell’ambiente mainstream di New York prima del recente tarsferimento in Austria. La proposta, a scapito della essenzialità della formula, è ricca di sfumature e climi diversi, con il comun denominatore della propensione melodica e della accurata ricerca timbrica. Le corde del leader e del contrabbasso si intrecciano con naturalezza alla puntuale ed estroversa pronuncia della tromba di Rotondi in un gioco di equilibri che trova i momenti più coinvolgenti nei brani  dall’ andamento più movimentato e con qualche asperità tematica come “Phrigian sound connotation” a firma di Di Leone, la suggestiva “Bruno’s line” firmata da Benedettini, o l’iniziale “O.M” di Rotondi . Non manca la parte riservata alle ballads, -“Leaving” di Richie Beirach e l’originale “From the chinese song“- ,  un omaggio al Brasile di Jobim con “Você vai ver” e due all’era dell’hard bop come “Minority” di Gigi Gryce e “Little Karin” di Benny Golson, nella quale fa il suo esordio alla tromba il nipote di Di Leone, Alberto. Il disco si chiude sul passo a due di “What’s new“,  standard di lungo corso a firma Bobby Haggard, reso con raffinata semplicità dalla chitarra e dal contrabbasso.

208-DiModugno

Un break della batteria di Massimo Manzi introduce, invece, “Impressions” di Coltrane, una delle due  covers insieme a “Who can I turn to ” di  Anthony Newley,  resa celebre da Tony Bennet anche in duo con Bill Evans, di “Songs from the soul“,  protagonista il  quintetto allestito dall’hammondista Vito di Modugno: il brano è una  una sorta di presentazione del gruppo, con spazi riservati alle tastiere del leader, all’aggressivo  sax di Michele Carrabba, ed alla chitarra di Pietro Condorelli. Formazione che dal brano successivo, l’intensa ballad “Flying Birds“, si amplia a comprendere la profonda ed espressiva voce di Patrizia Conte, strumento capace di spaziare fra i colori gospel di “Mother“, l’intensità soul della title track, le esplosioni della ballad conclusiva “Where you are“, solo voce e hammond,  e la spigliata verve funky con accenni rap di “Runway world”. Un caleidoscopio di stili che si completa, nei brani solo strumentali,  con il  mainstream  di “Brother Mike“, il perentorio  funk di “Dr Nick” e l’incrocio fra jazz e tradizione popolare de “Il ballo della sposa pugliese”.  “Canzoni dall’anima” condotte con abile regia del leader in un disegno collettivo che non lesina spunti e spazi solisti per tutti i partecipanti.

 

 

 

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