LA RAZIONE K

Certo, vista così non sembra granchè appetitosa. Ma dopo un paio di giorni praticando il  ‘salto del pasto’ sui monti della Tolfa a febbraio, con la tramontana che ti taglia in due, vi assicuro ‘che ha il suo perché’, come dicevano nel jet set milanese di un po’ di tempo fa. E poi è pure aviolanciabile, caratteristica niente affatto trascurabile di questi tempi. Insomma, ce n’è abbastanza da non formalizzarsi sul dettaglio che la simmenthal in mimetica che aprirete risulterà confezionata una ventina di anni prima.

Viceversa, la freschezza delle scatolette digitali che vi servo di seguito è assolutamente garantita….

Cominciamo da Bandcamp, la botteghina fricchettona. Iniziamo da quella che per me è un’altra scoperta.

 

 

Irreversible Entanglement è una band di recente formazione, forgiata sul campo, e su uno piuttosto rovente: nel 2017 ha debuttato nell’ambito di una delle tante manifestazioni in occasione delle ‘sviste’ delle varie polizie americane, di quelle che sfortunatamente lasciano qualche morto per terra. Quasi sempre disarmato, e spesso anche ragazzino. La sua voce guida, la Moor Mother che abbiamo ascoltato anche nell’ultimo album del cinquantennale di Art Ensemble of Chicago, ha poca inclinazione per i mezzi toni e l’eufemismo. Keir Neuringer al sax, Luke Stewart al basso (lo ricordiamo recentemente con James Brandon Lewis), Tcheser Holmes alla batteria ed Angeles Navarro alla tromba direi che seguono in scia, mettendocene anzi del loro. Il ‘No mas’ (“non più”) ha un esordio che si impone: una sorta di oratorio a cappella in cui tromba e sax si stagliano con un perentorio riff in un vasto silenzio, costruendo un climax sottotraccia sino allo scioglimento della tensione all’erompere di un’inesorabile linea di basso e batteria che a sua volta prepara l’apparizione della voce secca ed asciutta di Moor Mother, esaltandone l’intrinseca drammaticità. Che dire? A noi vecchi tromboni riesce a far correre più di un brivido nella schiena, l’Archie Shepp di ‘Fire Music’ o meglio di ‘Attica Blues’ è dietro l’angolo, ma qui c’è ancora più asciutta durezza e nessun rispettoso ossequio al passato. Se il resto dell’album rimane anche solo nei pressi di tanta tensione e concentrazione, beh, ragazzi, questa è roba veramente forte, niente brodini tiepidi. Caldamente raccomandato. Molto caldamente.

 

Chad Taylor è invece un batterista che ha già guadagnato meritata esposizione sotto i riflettori. Si parla ovviamente di quelli della ‘cutting edge’: i vari Chicago Underground del migliore Rob Mazurek, un magnifico duo con James Brandon Lewis (‘Radiant Imprints’ dell’anno scorso), altre significative milizie sul palco. ‘Segui la traccia dei soldi’, dicevano i vecchi investigatori in presenza di garbugli a prima vista inestricabili: anche per capire qualcosa di come si muove in avanti la musica di oggi bisogna a mio avviso seguire i batteristi come Taylor (ma si potrebbe dire lo stesso di Dave King, di Hamid Drake, di Rudi Royston), musicisti completi che creano quel minimo di struttura che rilsulta indispensabile a dare un’appoggio anche alle sperimentazioni più azzardate. Questo  prossimo ‘The Daily Biological’  vede Taylor scambiarsi continuamente il ruolo di baricentro con Brian Settles al sax e Neil Podgursky al piano. Musica forse più levigata di quella degli Irreversible Entanglement, ma anche qui c’è incessante dinamismo in una sorta di vertiginosa spirale. Uscita vagheggiata per fine aprile (??), quantomeno in formato digitale, anche ad alta risoluzione. Ovviamente sempre su Bandcamp.

Ma adesso andiamo a curiosare nelle vetrine del grande magazzino svedese. Nella mia selezione personalizzata di novità Spotify sono comparse parecchie cose molto intriganti (evidentemente il mio ‘fascicolo personale’ adesso è adeguatamente a regime…). Per parare il probabile rimprovero di sbilanciamento verso il cotè d’avanguardia (termine a mio avviso ormai alquanto sbiadito), orientiamoci su proposte più universalmente ‘godibili’, come si diceva in tempi più svagati.

Obama Shuffle Strut Blues di Tony Allen

Tra l’altro con questo album completo di due musicisti africani ‘Docg’ a mio avviso non si cede di un grammo sulla qualità. Tony Allen, dopo un debutto musicale in età non più verdissima, è stato l’eminenza grigia di Fela Kuti e più generalmente del c.d. ‘AfroBeat’, filone che andrebbe meglio indagato vista la complessità del suo sviluppo (un ceppo musicale genuinamente africano modellato dalla ‘fascinazione di ritorno’ del jazz americano che rifluisce a sua volta in un affascinante loop sulle scene USA ed inglesi….). Hugh Masakela era (ahimè ci ha lasciato nel 2018) un trombettista sudafricano che guadagnò un meritato momento di esposizione mondiale molti anni fa al fianco di Paul Simon in ‘Graceland’, molti se lo ricorderanno ancora: una tromba di bruciante lirismo che risentirete ancora in questo album. Che ha avuto storia travagliata: in gestazione sin da una tourneè comune di Allen e Masakela nel 2010, lasciato a metà e ripreso da Allen dopo la morte di Masakela, rientrando nello stesso studio londinese e completendolo con il concorso di alcuni musicisti della ‘new wave’ di South London come Joe Armon-Jones degli Ezra Collective (bisognerà parlarne, prima o poi) e Mutale Chashi dei Kokoroko tra gli altri. E’ musica essenziale, ma di inossidabile efficacia, musica con molto sangue caldo nelle vene. Ascoltando le sue linee sinuose bisognerebbe sempre ricordare che la semplicità è sempre un punto di arrivo, mai di partenza. Ascolto fortemente consigliato per l’attuale periodo; se Allen dovesse intrigarvi, è d’obbligo passare anche a ‘The Source’, omaggio alla musica di Art Blakey, un incontro cruciale del 1969, non per niente Kuti ed Allen battezzarono ‘Afro Messengers’ un loro gruppo che spopolo’ nei primi anni’70 nelle township nigeriane (più dubitativa la polizia locale, che recensì con qualche giorno di galera per Allen, poi esule per decenni in Europa)

A Time for Love Orrin Evans

Incurante dello sfacciato favoritismo verso uno dei miei beniamini, eccovi servito un brano-teaser di Orrin Evans. Il pianista, ormai pilastro del trio Bad Plus più volte nominato su queste pagine, nonostante questa assorbente esperienza (Bad Plus non è un trio come tanti) continua a mantenere uno spazio di creatività autonoma nel campo dei grandi organici, impegnativo sia musicalmente che organizzativamente. Dopo l’emozionante e travolgente ‘Presence’ del 2018 (un collage di brani orchestrali live di grande efficacia), ora si annunzia un nuovo album, ‘The Intangible Between’, del quale purtroppo non riesco ancora a fornirvi alcun dettaglio. Dalla solita Smoke Sessions (etichetta dell’omonimo locale, un altro marchio da cui comprare a scatola chiusa) ci perviene un sofisticato e fascinoso ‘A Time for Love’, con flicorno e trombone in grande evidenza che dialogano su un morbido tempo di ballad con una big band arrangiata in modo calibratissimo. Ottimo per sostituire il ‘Bollettino della Disgrazia’ serale, che ha ormai soppiantato le previsioni del tempo (già rimpiante per la loro attendibilità).

Mi raccomando, mantenere un segnale luminoso sul terrazzo per il prossimo lancio……. Milton56

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