Vittorio De Angelis Double Trio – Believe not belong

E’ curioso, ma tutto sommato normale, come le influenze dichiarate da un artista talvolta non coincidano con le impressioni dell’ascoltatore. Prendete questo “Believe not belong“(Creusarte records)  del sassofonista napoletano di stanza a Roma Vittorio De Angelis: l’autore, studi al Conservatorio di Santa Cecilia e con Steve Grossman, una lunga gavetta di turnista ed ingaggi in varie occasioni, incluso un circo, nelle sue presentazioni spesso evoca i nomi di  protagonisti del  jazz attuale come Kamasi Washington e Shabaka Hutchings, dichiarando, ad esempio, di avere mutuato da loro l’idea della doppia batteria. Il mio ascolto porta invece molto più indietro nel tempo, a dischi Atlantic o Blue Note di sessant’anni fa, con il loro movimentato andamento narrativo, i fiati che scolpiscono un tema alll’unisono e le tastiere che animano una struttura ritmicamente inquieta. Echi di hard bop, Sonny Rollins o i Jazz Messengers, insieme ad altre suggestioni, una ritmica funk, atmosfere immaginifiche, una cura del suono orientata ad un effetto vintage. Doppio trio, è la formula scelta, una soluzione partita dalla volontà di rinforzare il groove con i due batteristi (Massimo Di Cristofaro in coppia alernata con Roberto Giacquinto e Federico Scettri) e poi “scappata di mano” per estenderla ai fiati (con il sax del leader le trombe di Francesco Fratini e dell’ospite Takuya Kuroda), ed alle tastiere (Seby Burgio al pianoforte ed al piano Rhodes, e Domenico Sanna al Rhodes e synths). Il basso di Aldo Capasso fa capolino solo in tre dei sette brani, altrove la sua funzione è sostituita dal piano basso rhodes. Si parte dal tema alla Rollins di “Black Rain“, un eloquante riff sottilmente contornato dalla cornice elettronica, con la voce profonda e controllata del sax, per virare verso il soul jazz di “Roy’s mood” dedicato a Roy Hargrove, melodia semplice ma che tocca le corde dell’emozione grazie al solo di Kuroda. A tanti  vecchi amati vinili Blue Note fa pensare anche “Strike“, tema evocativo enunciato all’unisono da tromba e sax,  esuberante background ritmico e soli in sequenza dei fiati (riportato nel video sotto). Altrove si strizza l’occhio al funk con qualche concessione all’approccio melodico accattivante, ma senza perdere il contatto con il buon gusto (“Step out” e “Afrorism”), mentre “Second” immerge in acque latin il suo andamento sincopato. Omaggi al passato anche dall’ultimo brano in scaletta, “Well”, un agile motivo  perfetto per una colonna sonora da sceneggiato tv anni ’60 al centro del quale è collocato un longo solo di synth che, come buona parte di “Believe not belong”, anche in virtù delle scelte della strumentazione e del suono, pare una carezza a tanti ricordi di un passato ricco di fascino.

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