Al centro del mondo. Gezmataz 2020/1.

Quella che un tempo si sarebbe chiamata world music ha dominato l’avvio della XVII edizione del festival Gezmataz. Apertura ufficiale mercoledì 22 con due band genovesi dai membri intercambiabili,e poi, dopo la parentesi lo show della giovane promessa del pianoforte Tommaso Perazzo con il suo trio, la chitarra di Ralph Towner.

Esperanto e Motus Laevus, accumunati dalla presenza del chitarrista Luca Falomi e dalla coincidenza di avere pubblicato entrambi il primo cd nel periodo di lockdown, si muovono su coordinate di confine fra il jazz e la popular music, sebbene con sfumature diverse. Più vicini alle temperature latine e mediterranee i primi, con grande dispiego di melodie accattivanti dal tono lievemente già sentito, ed una decisa enfasi ritmica garantita dall’esuberanza di Rodolfo Cervetto alla batteria e Riccardo Barbera al contrabbasso, decisamente più spinti sul versante balcanico ed orientale i secondi, grazie alla presenza della cantante di origini slave Tina Omerzo e dell’assortimento di fiati etnici o meno di Edmondo Romano. In comune , oltre alla presenza del percussionista Marco Fadda, i due gruppi hanno anche l’appartenenza a quel filone di diretta discendenza dal capolavoro world di Fabrizio De Andrè “Creuza de mà”, che continua, a distanza di trent’anni, a produrre filiazioni ed epigoni interessanti.

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Esperanto: Luca Falomi, Riccardo Barbera, Rodolfo Cervetto, Marco Fadda

Dal vivo grande entusiasmo anche per l’effetto simbolico della ripresa dei concerti dopo mesi di chiusura, ed un’ efficace sintesi dei due lavori appena pubblicati, l’omonimo “Esperanto”, in cui brillano la vena compositiva e la chitarra virtuosistica di Falomi, ed “Y”, che coniuga in modo efficace i temi popolari narrati dai fiati di Romano, la suggestiva vocalità ed il pianoforte di Tina Omerzo con la chitarra e le percussioni, in un insieme cui giova la profondità e la concentrazione pittosto che il dinamismo ritmico.

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Motus Laevus: Tina Omerzo,Luca Falomi,Edmondo Romano, Marco Fadda

Con il concerto in solo di Ralph Towner la prospettiva si è allargata, andando a comprendere alcuni degli elementi che hanno caratterizzato la lunga carriera dell’ottantenne chitarrista  fondatore degli Oregon: folk, jazz, classica, in uno stile del tutto personale, che trasforma la chitarra in una vera orchestra. Attenzione catturata da subito, con il primo brano ricco, come molti altri, di articolazioni melodiche e fraseggi che si intersecano in una trama fitta di dettagli e di sfumature, e mantenuta per tutto il concerto, davanti ad un  pubblico che sembrava trattenere il respiro per non alterare l’effetto creato dalla chitarra acustica del protagonista. Scaletta in gran parte dedicata a composizioni originali attinte dal repertorio ormai cinquantennale di una carriera quasi per intero sviluppata in collaborazione con l’etichetta ECM, compreso l’ultimo album registrato in solo “My foolish heart”, da cui sono state riproposte “Pilgrim”, la spettacolare “Dolomiti dance” e la title track, in versione raccolta ed intima, una delle due concessioni al mondo degli standard jazz, insieme a “Little old lady” di Hoagy Carmichael. Un’ora abbondante di concerto con due bis, uno dei quali una nuova composizione ancora senza titolo, che ha condensato una nuvola di emozioni racchiusa in dodici corde.

 

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