KANDACE SPRINGS “The Women Who Raised Me” (Blue Note) – CD / 2xLP
Tocca essere didascalici per descrivere il contenuto del terzo disco della cantante e tastierista trentenne Kandace Springs (from Nashville with love). La mìse seducente della copertina, con la Kandace languidamente sdraiata sul piano come ai tempi dei Favolosi Baker, de “Le donne che mi hanno cresciuta” dice già praticamente tutto quel che c’è da sapere: si tratta di un omaggio griffato Blue Note, ed in carta patinata, ad alcune interpreti immortali, che hanno cresciuto, oltre alla Springs, intere generazioni di cantanti, sparse di qua e di là dell’Atlantico. La produzione di Larry Klein, tesa ad accreditare presso un vasto pubblico non necessariamente “jazz oriented” questa reginetta del Nu Soul/Pop, già baciata in fronte a suo tempo niente meno che da Sua Maestà Prince, non lesina certo in ospiti di caratura jazzistica, si va dal basso di Christian McBride che introduce l’intero lavoro con la sua cavata possente e lo sviluppo in trio di “Devil May Care” alla collega Norah Jones, una sorta di faro a detta della Kandance (oltre che puledro di razza appartenente alla stessa scuderia) con cui cala il canonico duetto su “Angel Eyes”, sinuoso standard del ‘46 che evoca un fumoso jazz club con le due dive (in lamè? massì…immagination is funny ,ecc.) a dividersi le strofe con gli astanti maschi che restan lì con occhi a cuore e bocca a ravioletto, rapiti ed esitanti con drink d’ordinanza in attesa.
…E via che ci si riprende con i sassofoni di David Sanborn (chiamato a cucinare un’ipercalorica, convincente “I Put A Spell On You”) e ancora con Chris Potter, fino alla tromba di Avishai Cohen distillata nell’original “Pearls”, brano dal testo teso ed evocativo, non a caso scelto dalla produzione per il video che lancia l’album. La band che accompagna Kandance è di eccellente livello: Steve Cardenas, Scott Colley e Clarence Penn sono una garanzia assoluta, piuttosto ci sono alcune riserve sulla playlist che appare come una “Cover Greatest Hits” un filo troppo ovvia, la voglia di mettersi in luce “a miracol mostrare” di Kandace e della Blue Note è indubbia -il disco detto tra noi suona nettamente meglio di qualsiasi cosa ascoltata da cantanti italiane nell’ultimo periodo, per usare un eufemismo- anche se sia “Solitude” che “The Nearness Of You” tendono un pochino a scivolare via, mentre il raffronto con gli originali vede a volte la Kandace ruggire, rendendo plausibile e centrata niente meno che “Killing Me Softly” (!) di R. Flack, mentre in altri casi, come nel finale affidato ad un’intensa e partecipata “Strange Fruit” sarebbe stato meglio pensare ad altro materiale, certe vette artistiche sono infatti già state marchiate a sangue in modo ineguagliabile e definitivo, al mio personalissimo tabellino. Artista da seguire, comunque, con una certa attenzione.