Con il concerto di venerdi’ sera il festival Ambria Jazz è giunto ai titoli di coda. Per la verità c’è ancora una ultima performance, il trio di Danilo Blaiotta programmato per la vigilia di ferragosto, ma è evidente che è ormai possibile tracciare un bilancio di questa edizione cosi’ pesantemente segnata dalla pandemia e da tutto ciò che ne è derivato.
Parlo innanzitutto dei problemi organizzativi e logistici derivati dalla situazione sanitaria, che hanno costretto gli organizzatori a studiare il distanziamento ad ogni concerto, cosa che si è moltiplicata per ogni serata, poiché il festival è da sempre itinerante e senza una postazione fissa.
Certamente il timore del Covid, unito alla richiesta minima e doverosa di un contributo, hanno contribuito a selezionare il pubblico, cosicchè l’impressione non è quasi mai stata quella di una affluenza in sintonia con le passate edizioni.
La mancata possibilità di un seppur minimo merchandising, dalle magliette ai poster e quant’altro, ha di fatto provocato la richiesta di un contributo minimo, fissato in 10 euro, ad ogni concerto. Probabilmente il problema si è mutato in occasione, quella di toccare con mano il pubblico veramente interessato e consapevole e non di semplice passaggio. Importante, credo, soprattutto in funzione futura per testare la reale risposta delle genti di Valtellina ad una musica diversa e di qualità.
Per la parte prettamente artistica si può affermare che l’edizione di quest’anno è stata sicuramente tra le migliori per equilibrio complessivo, novità fresche ed assolute unite ad artisti largamente affermati e di sicura presa. Un mix ben confezionato, che, fatti i dovuti distinguo di tempi e situazioni, mi ricorda molto il meraviglioso e purtroppo scomparso festival di Clusone, dove unitamente alle migliori e spesso inedite proposte italiane c’erano sempre quel paio di artisti americani o europei che conferivano spessore e qualità ad un piccolo (per budget e dimensioni) ma grande (per qualità artistica dei protagonisti ed umana dello staff ) festival lombardo di periferia. Esattamente come succede in Valtellina.

Ma veniamo al concerto di Pasquale Mirra e Danilo Mineo, un piccolo gioiello di qualità, freschezza, empatia e ritmo. I due si frequentano da tempo, fanno parte di diversi progetti comuni, ed hanno affinato nel tempo una sincronicità ed una intesa di notevole livello.
Un’ora e mezza di ritmi e melodie che hanno richiamato l’Africa, la musica afro-americana, la canzone ed il più puro lirismo, unitamente ad un lungo e godibilissimo breack percussivo che la memoria di un ormai non più giovane appassionato riporta ai gloriosi tempi dell’Art Ensemble of Chicago in formazione originale .
Non si trattava certo di una scoperta, entrambi i musicisti sono stati ospiti del festival nelle edizioni passate, e Mirra con Petrella anche in quella attuale, ma la freschezza e la gioia che trasudavano copiose dal piccolo palco hanno ampiamente conquistato il pubblico, strappando due bis ai musicisti. Ogni volta che ascolto Mirra suonare il vibrafono, sia pure in contesti sempre diversi, non posso che ammirarne la tecnica e la fantasia, e mai fino ad ora posso affermare di non aver gioito di un suo concerto o progetto discografico. Tant’è che aspetto con trepidazione l’annunciato nuovo album con Gianluca Petrella, soprattutto alla luce del bellissimo concerto di Tirano.

Dal canto suo Mineo ha accompagnato con precisione e fantasia, attingendo al suo sterminato bagaglio di percussioni, in un rapporto paritario con il vibrafomo, incalzando e sostenendo gli standards e gli originals che via via sono emersi dalle bacchette di Mirra.
Un concerto che si situa tra i migliori in assoluto, e non solo di questa edizione, tra quelli ascoltati in Valtellina.