Ci sono quelle funky e schizzate di Marc Ribot, quelle post tutto di Anthony Pirog, e quelle atmosferiche e prog di Mark Reuter. Un esercito di chitarre affolla alcune interessanti e recenti uscite discografiche pubblicate su Bandcamp, Cuneiform records e Moon June Records. Ci staranno tutte dentro a questo post? Proviamo.

Quello di Ribot ed i suoi Ceramic Dogs (Ches Smith batteria e Shahzad Ismaily basso ), come evidente fin dal titolo, è un disco concepito in isolamento, un Ep di sette brani, outtakes delle sedute di registrazione del nuovo album della band. Parte con un grande pezzo, “We crashed in Norway“, costruito su un nervoso riff di Ribot ed arricchito dal sassofono di Darius Jones, prosegue con un caotico e rockeggiante inno alla birra dal finale avvelenato (“Beer“), riprende la via di un eccentrico ed espressivo funky rock, “Who was that masked man”, inserendo poi nel mix una strana creatura metal /country (“Dog death opus 27″) e scampoli di punk (“Hippies are not nice anymore“), per concludere con una epica e metallica ballad (“The dead have come to stay with me”) dotata di finale con effetti fuzz in crescendo. Metodo nella follia quello di Ribot, il quale, adeguatamente spalleggiato dai compagni in questo viaggio tra eccessi e biodiversità musicale, mantiene salda la barra di una riconoscibile e granitica identità melodica, in questo episodio più vicina al rock che al jazz.
Il tutto rigorosamente registrato nel rispetto del distanziamento : ” A causa del virus abbiamo registrato senza vederci fino alla fine di Maggio. Shahzad sistemava i microfoni dello studio situato sotto casa sua, quindi andava nella sala di controllo. Ches ed io arrivavamo con le nostre mascherine, ci toglievamo le scarpe, e, lavate le mani, andavamo ad occupare ciascuno il proprio posto in stanze separate . Non ci siamo letteralmente mai visti, ma grazie all’eccellente sistema audio potevamo sentirci meglio che di solito e, dimenticando l’handicap visivo, abbiamo registrato con grande energia per quasi quattro ore al giorno per quasi due settimane. Quando abbiamo finito avevamo materiale per più di un cd , così abbiamo anticipato l’album in uscita nella primavera del 2021 con questo EP“. Sembra il manuale del perfetto comportamento del musicista in epoca COVID.
La presenza dietro i tamburi di Ches Smith rappresenta l’ anello di collegamento fra l’EP di Ribot e l’appena pubblicato “Pocket Poem” secondo disco solista per la Cuneiform di Anthony Pirog, chitarrista di Washington in bilico fra i territori post punk dei The Messthetics ed il jazz (frequentato, fra gli altri, a fianco di William Hooker ed Henry Kaiser) a fianco di un altro veterano della scena free jazz come Michael Formanek . Stessa formazione del primo album “Palo Colorado Dream“(Cuneiform 2014) per quindici miniature sonore raramente sopra i due minuti di durata, permeate da un ampio respiro “naturale” ed immerse in climi generalmente rilassati, con sapiente alternanza fra la comunicativa solare di un brano come “Honeymoon room” e l’inquietudine delle onde chitarristiche di “Adonna the painter” (con grande solo di Formanek), la grazia acustica (Dog daze), l’ermetica rarefazione della title track e le spigolose traiettorie di una “Untitled Atlas” che esita in uno straniante un carillon elettronico. Rispetto al disco d’esordio trova spazio anche l’uso della chitarra synth, (Beecher) nella chiave utilizzata da musicisti come John Abercrombie e Allan Holdsworth ed esplorata da Pirog parallelamente alla tecnologia elettronica più attuale. “Pocket Poem” è un vero caleidoscopio di idee ed influenze musicali, in cui confluiscono parti di Americana, di post rock e di jazz contemporaneo, un eloquente manifesto della poliedricità del suo autore e della sua ostentata propensione alla melodia.
Per Mark Reuter, autore insieme a Gary Husband del recente “Music of our times” , le novità sono addirittura tre e tutte edite da Moon June records, l’etichetta del poliedrico cittadino del mondo (ma vicino all’Italia) Leonardo Pavkovic . Tre dischi con formazioni diverse, in ordine crescente dal trio con Tim Motzer e Kenny Grohowski in “Shapeshifters” al sestetto con Mark Wingfield alla chitarra , l’ex King Crimson David Cross al violino, Fabio Trentini al basso, Asaf Sirkis alla batteria e Robert Rich all’elettronica in “Oculus” , fino a “Sun trance” , resoconto di una premiere registrata nel Maggio 2017 a Mannheim con l’ensemble Mannheimer Schlagwerk, che declinano il mondo espressivo del chitarrista tedesco in altrettante chiavi interpretative, ma con la costante di un riferimento a sonorità eteree, a tratti vicine al progressive, ed animate dallo spirito creativo del jazz. Composizioni di ampio , talora amplissimo, respiro (il disco con la big band è costituito da un’unica composizione di oltre 36 minuti, una sorta di moderna Tubular Bells in trance ) nei quali la limpida chitarra ed il variegato immaginario di Reuter trovano ideale accoglienza. Tre lavori di grande interesse che richiedono ben più di una sola piovosa serata . Ma l’inverno è alle porte ed altre circostanze invogliano ad ascolti casalinghi…..


