Questo assurdo 2020 è stato naturalmente avaro di musica nuova, registrata o dal vivo. Paradossalmente invece ha fatto riemergere degli autentici reperti archeologici da ambiti remoti e quasi alieni.
E’ proprio il caso di queste ‘Duo Sessions’, che affiorano a distanza di decenni da quell’impenetrabile laboratorio che era la casa-studio di Lennie Tristano, di cui abbiamo appena parlato a proposito di Franco Fayenz. Prima le notizie pratiche: l’album è pubblicato da Dot Time Legends Records, è disponibile sia in formato fisico CD che in quello digitale, sia in vendita che in streaming sulle ben note piattaforme.

Gli appassionati del misterioso pianista (‘fan’ sarebbe definizione empia e totalmente fuori luogo) da sempre devono fare i conti con una discografia minima e le rare uscite successive al suo definitivo ritiro ed alla sua finale scomparsa nel 1978 sono quindi un piccolo evento. Soprattutto se, come in questo caso, non ci si trova di fronte ad una precaria e semiclandestina registrazione live, ma di materiale che esce direttamente dal sancta sanctorum newyorkese, dove sin dalla fine degli anni ’40 era stato allestito un impianto di registrazione più che amatoriale e che Tristano manovrava con una certa perizia (e creatività…).
Cominciamo proprio dal suono di questi 70 minuti di musica. La Dot Time ha fatto senz’altro un buon lavoro, ma l’ascoltatore di oggi che abbia poca confidenza con certi reperti discografici con cui si sono misurati quelli della mia generazione deve fare un piccolo sforzo per ‘rimettere in prospettiva’ la scena sonora: ad esempio, i nastri che vedono la presenza del batterista Roger Mancuso vedono questi molto proiettato in primo piano, mentre Tristano è retrocesso un po’ sullo sfondo. Dati i valori musicali in campo, è invece opportuno ‘zoomare’ mentalmente sul Maestro, tra l’altro qui ritratto nel 1967-68 in un’attitudine più fluidamente discorsiva e luminosa rispetto a quella delle altre tracce. Viceversa Mancuso non mi sembra batterista epocale…un tantino legnoso ed ingombrante per il siderale mondo tristaniano. Curioso se si pensa ai suoi numerosi colleghi di gran classe e mestiere giubilati a suo tempo da Lennie, perennemente insoddisfatto per quanto riguardava gli uomini con le bacchette.
Successive (1970) le sessioni con il sassofonista Lenny Popkin, che ad onta di una certa classe ed originalità ha successivamente conosciuto una carriera abbastanza in ombra: forse il prezzo pagato alla fedeltà nel custodire e diffondere l’eredità tristaniana dopo la sua scomparsa. Non a caso in queste tracce è lampante l’adesione al modello di Warne Marsh soprattutto nel suono: ma si nota già nell’allora allievo una scioltezza ed una sicurezza che gli consente un dialogo equilibrato con il temibile Maestro, Popkin è già ben integrato nel mondo tristaniano degli anni d’oro 1946-49.
Prima di proseguire oltre, però, è opportuno inquadrare correttamente questo materiale: con ogni probabilità si tratta di sessioni di studio con allievi, in cui si prescindeva da esigenze di compiuto risultato estetico finale e caratterizzate da una certa grezza assenza di rifinitura. Una conferma a riguardo ci viene dalle brusche dissolvenze con cui si chiudono alcune tracce mentre la musica corre ancora.
L’ipoteca di possibili forzature ed enfatizzazioni didattiche può quindi dare conto di un certo progressivo irrigidimento del pianismo di Tristano in queste sessioni. Infatti il nostro in molte tracce si abbandona nelle code dei brani a momenti di creatività individuale più sciolti e meno oscuri di alcuni accompagnamenti riservati agli allievi. Tuttavia, ed avuto presente il lungo arco temporale coperto da questi materiali (dal 1967/68, poco dopo il ritiro dalle scene, sino ad un 1976 quasi vigilia della morte – forse preceduta da pesante malattia), sembra di percepire l’affacciarsi di una crescente tendenza alla durezza e percussività del tocco ed ad una costruzione sempre più spigolosa e geometrica: in altra sede qualcuno ha ipotizzato addirittura almeno un ascolto da parte di Tristano del primo Cecil Taylor, ipotesi forse non infondata, ma che deve fare i conti con l’attitudine dura ed a volte sprezzante dell’ultimo, amareggiato Lennie verso diversi celebri colleghi.
E così giungiamo ai due compattissimi ‘Concerti’ con la pianista Connie Crothers, la discepola forse più dotata e destinata in seguito ad un percorso più autonomo ed individuale. La titolazione è rivelatrice: qui emergono in tutta evidenza e senza filtri le radici di Tristano nella musica europea del ‘900, da lui ben conosciuta. La traccia tematica che in altre sedute era già labile e discontinua qui si dissolve del tutto in un maelstrom sonoro di materia densa e contrastata, illuminata a momenti da lampi espressionisti. Dalle gemme diafane e luminose delle classiche incisioni della fine degli anni ’40 si giunge dunque ad un minerale opaco e compatto, frutto di pressioni quasi insostenibili, ma che irradia una magnetica energia tellurica. Non a caso ho parlato di ‘maelstrom’: il pensiero non può correre ad un altro reperto tristaniano, appunto intitolato al leggendario, temibile vortice marino del Mare del Nord.
Che queste quattro righe di appunti servano agli intrepidi e curiosi come rudimentale ‘mappa del tesoro’ per orientarsi in un sotterraneo affascinante e tuttora alquanto misterioso ed insondato. Milton56
Servono, servono. Lo spero davvero. Io sono intrepida e curiosa, ma già appassionata di Tristano da lungo tempo. Bella lettura
"Mi piace""Mi piace"
Sto ascoltando il cd proprio ora, ma mi pare – chiedo, eh – che la registrazione sia un po’ “così così”. E, per farla breve (ché come critico musicale non valgo una cicca), non ci ritrovo il suono del SUO piano. Sono d’accordo sul “discorsivo” ma non molto sul “luminoso”. Lo era quando era siderale, per me. Non sono ancora arrivata alla pianista e temo molto quel momento…
La pubblicazione si deve, ancora una volta, alla figlia di Lennie?
"Mi piace""Mi piace"
Andiamo con ordine, prima i ‘fatti’. Sì, l’album è stato voluto e curato da Carol Tristano, come si ricava dalle sue stesse note di copertina. Per fortuna ha trattato con rispetto i nastri paterni, diversamente da quel che ha fatto in passato. Il suono: ricordiamo che si tratta pur sempre di registrazioni domestiche, anche nel migliore dei casi sarà stato usato un registratore a due piste con due microfoni, di qui gli squilibri nella scena sonora, la mancanza/impossibilità del mixaggio si sente. Infine, le mie notazioni sull’evoluzione del pianismo di Tristano sono tutte interne a questo album, che riflette ben vent’anni di un amaro autoesilio….. gli ultimi ampii e significativi confronti con il pubblico risalgono alla tourneè europea del 1965. Ovvio che il Tristano del 1946 – 1949, all’apice del suo successo (quantomeno di critica) sia tutt’altra cosa in termini di limpidezza e di equilibrio estetico.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Sì, sì, il marito mi aveva già detto che erano registrazioni a tagliatelle, cioè “fatte in casa”.
Il suono: forse, come avevi detto tu, è proprio perché nella prima parte, rispetto al sax, fa un po’ da sottofondo (mia traduzione). E poi a me il sax piace sporco o affilato, non “ovattato”.
Scusami, tu vai con ordine e lo apprezzo, perché ci rifletto, ma io sono disordinata. Devo tuttavia dire che, diversamente da ciò che temevo, il duo con la Crothers mi è piaciuto. Anche quello col batterista.
Grazie per la risposta!
"Mi piace""Mi piace"
Scusa, Milton (er poeta? perché questo nome? ovviamente rispetto il riserbo e mi accontento di viaggiare con la fantasia), potresti gentilmente cancellare i due messaggi da rinco qui sotto? Grazie 🙂
"Mi piace""Mi piace"
Fatto. Chi è Milton? Pensavo di organizzare un concorso a premi, al riguardo :-). Piccolo indizio: è il personaggio di un romanzo….
"Mi piace""Mi piace"