Brunod, una carriera in un disco

Quando un disco inizia come questo “Maurizio Brunod Ensemble“, con il passo gentile ed accattivante di “Teseo” che prende quasi per mano l’ascoltatore, alimentando la curiosità per le tappe che verranno, viene subito voglia di affidarsi al suo svolgimento.

Non ci sarà di che pentirsi, perchè il lavoro congegnato dal chitarrista piemontese con un trio composto da Emanuele Sartoris al pianoforte e Marco Bellafiori al contrabbasso, ed un paio di ospiti, pubblicato dalla label Caligola Records, riesce a comporre una visione panoramica, fotografata da tanti punti di osservazione, dei trenta anni di carriera del titolare, evitando l’enfasi celebrativa, e dosando con equilibrio e raffinata qualità la varietà dei registri musicali ed emotivi che compongono il mondo creativo di Brunod. Una sorta di best of, composto da dieci brani tratti dal repertorio del chitarrista rivisitati in una dimensione intima e lirica, con un tessuto narrativo sempre coinvolgente ed evocativo, che nei brani con il bandoneon di Daniele Di Bonaventura (“Stinko tango” “Didime”, “Bad epoque“) assume toni immaginifici, quasi da colonna sonora, mentre quando entra in gioco il sax o il clarinetto di Gianluigi Trovesi, l’altro ospite voluto per questa occasione speciale, acquista la consistenza materica di “Urban Squad” o quella eterea di “Neve“. Nella dimensione intima del trio senza batteria spicca il ruolo del pianoforte di Emanuele Sartoris, spesso efficace contraltare della chitarra di Brunod, e del contrabbasso di Bellafiore, intenso e profondo, in un continuo interscambio di ruoli, un dialogo incessante che testimonia l’intesa raggiunta fra i tre musicisti. Spesso, a proposito di Brunod, si cita il richiamo a Bill Frisell, e va ricordato che prima di affacciarsi al mondo del jazz con Enter Eller, il chitarrista ha frequentato in gioventù il rock progressivo ed i suoi eroi della chitarra ( ed ogni tanto ama tornare su quei passi, come nel cd “Nostalgia Progressiva” (Caligola records) registrato nel 2018 con Giorgio Li Calzi e Boris Savoldelli): se qualche traccia dell’una e dell’altra influenza si rileva qua e là – i frippertronics di “Hypnotic sad loop“, le volute elettriche di “Bad epoque” – il ruolo che risalta maggiormente in questa occasione è quello del compositore in grado di declinare il suo arsenale strumentale in funzione del clima prevalente, sia il jazz screziato di elettronica (“Urban squad”) che la musica etnica ( “Milonga del Nord”) , o la fusion di “Sequences“, fino al raffinato e dinamico gioco a due acustico con il bandoneon della finale “Tutankamon“, degna chiusura di questo compendio di una carriera che merita ampiamente il viaggio restrospettivo.

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