JazzMi 2021 ha fatto una scommessa non scontata nell’individuare in Joel Ross una delle personalità emergenti dell’attuale scena USA: il Festival è stato ben ripagato, così come la cura di ‘tirare i fili’ che si dipartono da concerti tenuti nelle precedenti edizioni (Ross faceva parte del gruppo di Marquis Hill già presente in precedente edizione di JazzMi).
Il destino ha voluto che il quartetto si riducesse a trio per la forzata defezione (lutto familiare) dell’altoista Immanuel Wilkins, vero coleader della formazione di Ross ed a sua volta agli inizi di una promettente carriera di capogruppo a sua volta (ve ne abbiamo già parlato ). C’è un auspicio di vederlo in una prossima edizione alla testa di un suo gruppo.

Ma il 25enne (!) Ross ha dato una bella prova della sua stoffa di leader riaggiustando all’organico ridotto – direi quasi amputato – la musica del suo gruppo. Oltre a Kanoa Mendenhall al basso e Jeremy Dutton alla batteria, abbiamo avuto la sorpresa di vedere Ross alle prese oltre che con il suo vibrafono, anche con un piano gran coda. In molti vibrafonisti si cela un pianista? Forse, ma si è avuta l’impressione che Ross nell’occasione cercasse soprattutto ulteriori colori da aggiungere alla tavolozza della sua band, ma approfondiremo in seguito.
Significativa l’apertura del concerto, che gli imprime subito un’indelebile cifra di raccolta intensità: è ‘Equinox’ di John Coltrane. Sin dalle prime battute si percepisce un palpabile cambiamento nel giovane vibrafonista rispetto alle due brillanti prove discografiche a suo nome: il suono delle sue lamelle è come in qualche maniera più smorzato ed opaco. Questo timbro meno appariscente e saturo che in precedenza si sposa poi con un fraseggio meno turbinoso, ma più frammentato e tendente ad un percepibile astrazione. Sono state le particolari circostanze del momento, o siamo già di fronte ad una rapida maturazione che ha già lasciato alle spalle un certo slancio giovanile? Lo sapremo in prosieguo, soprattutto quando avremo tra le mani un ulteriore album a firma di Joel (che nel frattempo è però molto richiesto come sideman in produzioni di gran livello).
Vero motore propulsivo del gruppo è la batteria di Jeremy Dutton, che con la gran ricchezza di accenti e la continua variazione dei ritmi induce la frammentazione del discorso di gruppo di cui si parlava più sopra: sembra di sentire un’eco del drumming di Roy Haynes, però più assertivo e privo della danzante follia di quest’ultimo. La coesione e l’ancoraggio di gruppo è affidata al basso nitido, ma morbido della Mendenhall, che non a caso è sempre in bella evidenza. L’impostazione, e più ancora le circostanze della serata non lasciano molto spazio all’interplay, ma in compenso il trio sfoggia compattezza ed integrazione inossidabili.
Dopo quasi 25 minuti di un continuo flusso denso ed avvolgente intorno ad Equinox, arriva una breve pausa. Serve a Ross per lasciare il vibrafono e sedersi al piano, insinuandoci una fantasmatica e rarefatta ‘Epistrophy’: il Monk più notturno è certo una scelta di ardimento, se si può contare su un pianismo essenziale e funzionale come quello mostrato da Ross. Ma la coerenza e l’integrazione di questo interludio nel complesso del set mettono in secondo piano queste caratteristiche, del resto il pianismo autocompiaciuto e narciso è merce da gran tempo inflazionata.
Nel denso ed ininterrotto fluire di idee di spiccata personalità, anche ‘Django’ del Modern Jazz Quartet sfila come cornice e trampolino di lancio per ulteriori concentrate elaborazioni: ovviamente l’evocazione impone il ritorno al vibrafono, che mette in evidenza originalità e sempre crescente maturità del Ross strumentista.
Dopo quasi 90 minuti di musica ininterrotta (il nostro è personaggio schivo e poco propenso a ‘tenere il palco’, si contano sulle punte delle mani le parole pronunziate), il concerto giunge al termine nel cuore della notte, che sembra proprio esser l’elemento d’elezione per un set le cui cifre costanti sono state intensità e concentrazione. Sul piano pratico, però, la programmazione in notturna è andata a beneficio di una platea sì attenta e partecipe, ma che avrebbe dovuto esser decisamente più ampia, considerata la qualità e lo spessore della proposta, tra l’altro già sensibilmente evoluta rispetto alle pur brillanti prove discografiche di ‘Kingmaker’ e ‘Who are you?’. Fatevi un appuntino in agenda, un prossimo passaggio di Joel è un appuntamento da non mancare assolutamente. Milton56
Un frammento del concerto milanese: ripresa amatoriale, ma dà una qualche idea…..