Massimo Sorrentino – “Corde a colori”

Che colore pensereste di associare al jazz? Ammesso che la domanda abbia un senso, il chitarrista pescarese con base a Roma Massimo Sorrentino, ha le idee chiare, e propende per un deciso verde, in questo quarto lavoro a proprio nome pubblicato da RadiciMusic che si può considerare un concept album basato sul tematismo cromatico. Quattro colori per quattro “generi” diversi, un’idea narrativa semplice quanto efficace per rappresentare un ampio universo sonoro nel quale trovano riscontro le varie anime del chitarrista: il jazz, appunto, insieme alla dimensione acustica del proprio strumento (bianco), a quella delle ampie orchestrazioni (rosso) per concludere con il blu delle fantasie psico-elettriche. Proprio l’eclettismo è uno dei pregi di maggior rilievo di Sorrentino, che spazia agilmente fra i quattro scenari, evidenziando, inoltre, la capacità di arricchire le proprie composizioni con il valore aggiunto della sorpresa, della svolta inattesa che rende interessanti anche le strutture apparentemente più convenzionali.

L’idea di “Corde a colori” – spiega l’autore nelle note di copertina – nasce dall’esigenza di poter suonare in totale libertà tutto ciò che il mondo della chitarra riesce a trasmettermi. La maggior parte dei brani sono nati improvvisando, sperimentando un approccio alla composizione che non prevedesse troppi ripensamenti. In questo senso le musiche si ispirano ad un “jazz” nell’accezione più ampia e sperimentale del termine. Anche se viviamo in un’epoca in cui si tende a voler etichettare tutto, coltivo sempre la speranza che qualcosa ancora possa non essere inglobato in un’unica parola

Il trittico bianco è aperto dall’esercizio virtuosistico in chiave country di “Bianco acustico“, seguito dalla ritmata “In fuga“, ove si colgono alcune influenze da Pat Metheny che ritroveremo nel corso del disco, e completato con una cover di “Blackbird” di Paul Mc Cartney, affrontata quasi col pudore di chi maneggia una cosa preziosa. “E’ una delle mie canzoni favorite, la melodia e l’armonia ed il modo in cui nel 1968 Mc Cartney la suonava rimarranno per sempre nella storia della chitarra acustica. Ho voluto rendere omaggio a questo capolavoro che, sfortunatamente, ancora oggi ci ricorda dall’insensatezza dei conflitti dovuti al colore della pelle. Nonostante i suoi colori , la musica non si vede, ma si ascolta.”

Un trio con il fratello Daniele Sorrentino al basso ed il pianista Andrea Rea, entrambi componenti del quartetto di Stefano Di Battista, affronta la parte “verde”, con il raffinato dialogo sul ritmo di una leggera bossa nova di “Verde in tre“, la ballad “Mi colori“, in cui risuonano echi del miglior Pino Daniele e l’altra cover “Over the rainbow“, in solitaria, testimonianza dell’amore di Sorrentino per la dimensione cinematografica della musica, un campo in cui opera da anni come compositore e musicista per spettacoli teatrali ed opere filmiche.

L’ideale trait d’union con la seguente sezione dedicata all’aspetto immaginifico musicale, introdotta dall’evocativa “Rosso orchestrale” condotta dalle chitarre sullo sfondo degli archi sintetizzati, sviluppata con il tema gentile (in cui fa ancora capolino il buon Pat) di “Gratitudine” , che offre uno spazio anche ai soli del contrabbasso e del pianoforte, e conclusa con le sospensioni di “Whit me“, un brano in tempo dispari dalle atmosfere torbide e misteriose, possibile colonna sonora per un immaginario thriller, nobilitata dal solo della chitarra che esplora melodie di impronta orientale.

La conclusione è tutta per la parte elettrica del mondo di Sorrentino: “Blue elettrico” che trasforma i limpidi fraseggi iniziali in una progressione metal appesa ad beat vagamente techno in 7/4, sulla quale improvvisa una chitarra jazz. Quindi la psichedelia di “Sogno interstellare“, un viaggio nel cosmo che alterna, sulle corde elettriche, distensione ed ansia, sfociando nel liberatorio solo finale. “From the sea to the sky“, infine, porta in alto, in cieli elettronici e fra ritmi sintetici, la frizzante melodia ben ancorata a terra della prima parte.

Un disco talmente carico di suggestioni e percorsi da lasciare alla fine la sensazione di un piccolo capogiro, come se si fosse arrivati, partendo da conosciute mura domestiche, ad un luogo tutto da scoprire. Forse proprio l’effetto che Massimo Sorrentino si era proposto.

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