Non è un mestiere per simpatici

Nella mia lunga esperienza di frequentatore di negozi di dischi ho avuto modo di appurare un dato costante che riguarda il carattere dei gestori di quegli amati luoghi: la mia statistica personale registra una netta prevalenza di personalità poco affabili, non proprio disponibili, quasi mai accoglienti ed in alcuni casi decisamente respingenti. Enunciata la regola, inizio subito da due eccezioni che la confermerebbero. Londra inizio anni 90, Tower Store Records: acquisto un cofanetto di Bob Dylan e mi accorgo sulla metropolitana che il resto di cinquanta sterline non era quello corretto; torno al mega store e con mia grande sorpresa, mi imbatto in un gentilissimo cassiere punk disposto a rifare tutto il fondo cassa per accertare che in effetti c’era stato un errore e mi restituisce quanto dovuto con le scuse. Penso, cose impossibili in Italia. Altra eccezione: il commesso di un tenebrosissimo negozio genovese in epoca new wave, la cui allegria stonava con il clima pesantemente dark dettato dal titolare perennemente imbronciato. Lo rincontrai anni dopo, sempre allegro, ma impegnato in tutt’ altro genere di commercio, biancheria per la casa. La mia teoria circa la ricorrente antipatia d’ordinanza insita nei gestori di record store è la seguente, e parte dalla premessa del particolare rapporto, a metà fra la passione ed il feticisimo, che lega l’appassionato agli amati oggetti: chi vende i dischi non può amarli, altrimenti come potrebbe da loro separarsi ad ogni vendita, quindi non può amare, nè tantomeno comprendere, il rapporto di cui sopra. E quindi nutre un controverso rapporto con i propri clienti, la cui esistenza è condizione vitale e necessaria, ma le contorte manie dei quali nella smania di possesso degli articoli da procurare, sono spesso intollerabili. Siamo tacciabili, noi che abbiamo le pareti di casa tappezzate di vinili e cd nell’ utopico anelito alla conoscenza/ possesso universale, di patologie incomprensibili da parte dei detentori dell’usuale angolino occupato da qualche opera di Beatles, Mina o Beethoven : ricordo lo sconcerto di un amico nel constatare la quantità di musicassette che mi portavo dietro in un alloggio temporaneo di lavoro.

Spesso si legge del rimpianto per i piccoli librai di quartiere “che ti sapevano consigliare una lettura in base ad una conoscenza dei tuoi gusti e sensibilità“. Per i dischi è tutto diverso: chi entra(va) in negozio non aveva bisogno di alcun consiglio, andava a colpo sicuro e, solo in tempi molto remoti, poteva far precedere l’acquisto da un fugace ascolto. Ma, a memoria personale, raramente si decideva dopo una chiacchera con il signore dietro la cassa sui contenuti del disco da acquistare. Troppo personali i percorsi culturali che conducono ad una curiosità, ad una scelta, o alla decisione di seguire tutta la carriera di un artista, spesso incomprensibili le decisioni che portano ad acquistare più volte, nella sostanza, lo stesso disco, propensione su cui le case discografiche fanno solido affidamento. Addirittura impossibile da spiegare la necessità di avere in casa un disco che magari rimane sigillato per anni. Mi rendo conto ora che parlo da una certa distanza rispetto alla situazione attuale, nella quale persino l’esistenza di negozi di dischi rappresenta un’eccezione, è chiaro che queste considerazioni vanno contestualizzate nell’arco degli ultimi trenta/quaranta anni. Oggi nessuno si pone problemi di relazioni umane con Spotify o Amazon. Eppure c’è chi, fra i superstiti, ha investito con una sofisticata ed autoironica operazione proprio sul tema di queste righe, aiutato anche dalla naturale, proverbiale auwsterità del carattere ligure. Nel negozio di dischi più longevo fra i pochissimi rimasti in vita a Genova (https://www.discoclub65.it/) il “maltrattamento” dei clienti, l’insofferenza nei confronti di chi attende un cofanetto o vuole completare la discografia dell’artista preferito, le risposte sarcastiche di fronte alle più improbabili richieste, sono diventate un vero rituale, che può, nei casi estremi, per i più “molesti” ,giungere a vere e proprie “espulsioni” dagli amati scaffali, per alcune giornate, come nel calcio. Su questi casi umani, episodi e surreali dialoghi è stato addirittura imbastito un libro, fratello minore di”Alta fedeltà “di Nick Hornby, il primo documento dall’interno della vita in un negozio di dischi, di qualche anno fa.

Non tutti sono disposti a prestarsi al gioco, ma nel complesso l’idea di rilanciare quale cifra distintiva l’approccio un pò ruvido e riderci sopra pare avere funzionato, garantendo, anche in questi tempi di magra, la sopravvivenza dell’esercizio.

Per tutti gli altri, quelli ancora aperti, l’ invito è di non preoccuparsi e non cercare gentilezze che non sono proprie del ramo: ci siamo abituati, il venditore di dischi non è un mestiere per simpatici.

Fonte vignetta : http://www.moderntoss.com

5 Comments

  1. Caro andbar, risponde al tuo scritto una persona che ha vissuto l’esperienza di negoziante nel settore musicale per un periodo piuttosto esteso. E’ giusto che ognuno possegga le proprie opinioni, che vanno rispettosamente accettate, ma non sono affatto d’accordo quando sostieni che coloro che commerciano in opere musicali, di qualsiasi genere si tratti, non le possano apprezzare, anzi amare come hai scritto. Mi dispiace contraddirti, ma non si può generalizzare così banalmente la questione. In primis perché, e nello specifico parlo a titolo puramente personale, posso permettermi di sostenere di aver svolto il ruolo di negoziante di supporti musicali spinto da una vera, fortissima passione per questa branchia artistica fin dalla tenera età dell’adolescenza. In secondo luogo, il rapporto umano tra negoziante e cliente dev’essere, a mio modesto parere, costruito sulla fiducia, sul rispetto reciproco, sull’educazione, mostrando al contempo il massimo sul piano della professionalità. Infatti, nel corso dei lunghi anni di attività come negoziante, ho privilegiato tutti gli aspetti elencati, cercando di fornire un servizio serio e puntuale, tanto e vero che diverse persone ormai si fidavano ciecamente quando proponevo un disco che ritenevo qualitativamente interessante. Concludendo, ognuno avrà vissuto particolari e personali esperienze, talvolta anche negative, ma ridurre la categoria dei negozianti del settore musicale ad una massa di maleducati e poco inclini a manifestare passione verso la materia trattata, mi sembra un giudizio troppo riduttivo.

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    1. Caro Metalurbain, grazie per le tue osservazioni.
      Ho precisato all’inizio del pezzo che si tratta di considerazioni basate su una statistica personale, quindi non rappresentativa di un universo che non posso ovviamente conoscere integralmente , e nel quale sono sicuro, come ho citato, sussista più di un’eccezione alla regola dell”antipatia”. Peraltro, dato l’interesse registrato e le manifestazioni di gradimento per l’articolo, non credo di essere il solo a pensarla così. Non ho mai, peraltro, parlato di manzanza di passione o competenza dei commercianti. Il problema credo risieda nel fatto che fra loro ed i clienti sussiste una differenza intrinseca al ruolo. I primi devono vendere, quindi separarsi dal prodotto, i secondi sono mossi dalla volontà di possesso dello stesso. Su questa dicotomia si gioca tutta la gamma di sfumature comportamentali che, partendo dal consiglio competente, arrivano, all’estremo opposto, alle “espulsioni” dei clienti molesti. Il mio pezzo intendeva parlare di questo, ed ho cercato di farlo con un minimo di humor, senza alcun risentimento. Anzi, magari, dando un pò di visibilità a qualche negozio rimasto ancora in vita, fra quelli che ho frequentato spesso.

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    2. Bravo METALURBAIN, approvo totalmente la tua risposta. Anch’io sono stato gestore di un negozio di musica, nel periodo più creativo di molti artisti (dal ’70 all’85). Pur essendo un appassionatissimo della musica jazz, ho sempre rispettato tutti i miei clienti nelle loro passioni musicali più popolari, ma ho sempre cercato di fare “capire” loro musica più sofisticata. Un lavoro lungo e appassionato ma in gran parte riuscito!

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  2. La Liguria e Genova sono un po’ un caso a parte. A questo proposito, si potrebbero rispolverare divertenti sketch cabarettistici sulla “tipica accoglienza ligure” in particolare dei ristoranti, ma che ovviamente si possono estendere ad altre categorie merceologiche. Conosco quel negozio che ho frequentato da giovane con un’altra gestione; ci sono stato recentissimamente e l’ho trovato ancora degno d’interesse e certamente il gestore ci mette sempre passione e competenza.Va anche detto che simpatia non fa sempre rima con competenza, ma soprattutto con onestà. Un negoziante molto simpatico aveva la brutta abitudine di reperire ristampe che, a distanza di tempo, grazie alla rete ho scoperto essere non ufficiali, naturalmente di modestissima qualità, malgrado fossero in catalogo le ristampe ufficiali che lui non sapeva procurare. Il colmo lo raggiunse quando mi sorrise dicendo che avevo preso un “tarocco” a proposito di una ristampa in cd di “Bootleg Him” del bluesman Alexis Korner, cosa ovviamente non vera.
    Aneddotica a parte, a tutt’oggi, grazie anche a note piattaforme di vendita on line, rimane ancora un congruo spazio per tanti piccoli negozianti che lavorano con impegno e dai quali si possono fare ottimi acquisti senza particolari “salassi” talvolta propinati dai colossi del commercio on line sicuri della loro posizione dominante.

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    1. Ecco un’osservazione preziosa: “…senza particolari ‘salassi’ talvolta propinati dai colossi del commercio online sicuri dellaloro posizione dominante”. Soprattutto per quanto riguarda la nostra musica, i ‘colossi’ non praticano prezzi particolarmente competitivi, anzi… poi nella maggior parte dei casi fanno solo da mediatori per venditori specializzati, con conseguenti maggiori tempi di reperimento/consegna e maggiori costi di spedizione. A questo punto tanto vale rivolgersi direttamente ai venditori di ultima istanza, anche grazie a piattaforme come Discogs.com (giusto per non far nomi..), dove tra l’altro ogni venditore è soggetto ad un rating di affidabilità/puntualità. Certo, anche questo canale non sostituisce il rapporto umano di una volta, che – diciamocelo – aveva anche i suoi momenti di incomunicabilità, soprattutto nei tempi d’oro del mercato discografico, quando certi negozi lavoravano al ritmo dei supermercati. E comunque questi negozi in ogni caso erano dei luoghi di socialità e di scambio tra i clienti, perdita irreparabile questa…. Solo agli albori di internet ho visto un grande negozio online (indipendente e yankee…) che aveva creato colleteralmente un vivacissimo forum che ancora oggi rimpiango a calde lacrime…. mai più visto nulla di simile. MIlton56

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