In concerto proponiamo improvvisazioni su melodie note e meno, come “O mio babbino caro”, “Vecchia Zimarra” e “Nessun Dorma”, alternate a nostre composizioni. E’ quello che si dovrebbe fare, credo, quando si approcciano i grandi musicisti. Spesso si tende a rielaborare il loro sistema armonico, ma molte volte il tutto diventa trito e ritrito, il kitsch è dietro l’angolo. Basterebbe, credo, seguire la lezione di Puccini. Dopo ventisei concerti insieme, sembra che la cosa funzioni…
Danilo Rea, intervista a La Provincia di Sondrio
In effetti le parole di Rea denunciano quello che troppo spesso si è avverato quando dei jazzisti provano a rielaborare pagine tratte da altre musiche, che si tratti di classica, operistica o pop poco cambia, il pericolo di un pastiche senza capo ne coda che faccia rimpiangere l’originale è sempre presente.
Non è successo ieri sera a Morbegno grazie anche all’intelligenza e allo spessore tecnico dei due musicisti, formidabili professionisti del proprio strumento, in grado di far convivere e, anzi, fare leva sulla grande differenza timbrica tra pianoforte e basso tuba o serpentone, strumenti questi di Godard ai quali quasi sempre viene dato l’onere di esporre la linea melodica principale, mentre il pianista si ritaglia il doppio ruolo di accompagnatore e solista.

A mio parere il meglio di sé un bravo jazzista lo raggiunge quasi sempre nel proporre propria musica, libera da vincoli e soprattutto lontana da melodie universalmente conosciute, che se non trattate con intelligenza, spesso diventano un arma a doppio taglio. Nonostante ciò l’ora e mezza di concerto è stata divertente, appassionante e ricca di stimoli, sia nelle arie citate da Rea nell’intervista che in altri brani ora di Puccini (Il bel sogno di Doretta, tratto da La Rondine, E lucevan le stelle da Tosca) ora di Godard (Trace of Grace) e naturalmente del pianista stesso, che si è anche concesso una citazione da Michelle di Lennon e McCartney alla fine del proprio brano.
Il primo bis dopo un’ora abbondante è una versione in chiaroscuro di O mio babbino caro, tratto dall’opera Gianni Schicchi, melodia resa immortale da Maria Callas e soave epilogo della serata.
Finalmente la risposta di pubblico è stata adeguata alla qualità della proposta nonostante il freddo intenso non invitava certo ad uscire di casa. A contorno del concerto organizzato da Ambria Jazz in collaborazione con il Comune di Morbegno, nel chiostro e in una piccola sala del complesso di Sant’Antonio era possibile visitare la mostra di splendide fotografie in un personalissimo bianco e nero di Michele Bordoni, un giovane ma bravissimo fotografo valtellinese spesso di casa al Torrione, il jazz club di Ferrara .