“La tua immagine è una rappresentazione della musica che suoni prima che venga ascoltata”. Così disse Lakecia Benjamin a proposito della mise metallica sfoggiata sulla copertina del suo quarto album “Phoenix”: e la musica, potente ribollente e fiera, è proprio quella che ci si aspetterebbe, dopo la sua visione, con qualche piacevole sorpresa in più.
“Phoenix” (Whirlwind) è, fino ad oggi, la miglior sintesi delle radici musicali cui attinge il mondo della trentenne sassofonista di New York, decisa a riscattare un recente pessimo periodo caratterizzato da un grave incidente d’auto e da una serie di lutti familiari dovuti alla pandemia.
La musicista, cresciuta in un quartiere dominicano di New York City ad alto tasso di musica latin, avviata allo studio del jazz grazie a nomi di rilievo come il trombettista Clark Terry, ed il sassofonista Gary Bartz e con un solido background in ambito r’n’b, soul ed hip hop ( collaborazioni con Missy Elliott e Alicia Keys ed inviti più o meno spontanei da parte di Prince e Stevie Wonder), pare oggi intenzionata a forgiare nella fucina di un jazz nervoso e dinamico la propria sintassi, alimentata, per altro,da una forte attenzione al tema dei diritti civili. Lo testimonia il brano d’apertura del disco “Amerikkan Skin” che si apre con i suoni di una guerriglia urbana, sfondo per le parole dell’attivista dei diritti civili Angela Davis: clima ritmicamente ribollente, atmosfere modali sviluppate attraverso brevi ed efficaci frasi melodiche scolpite geometricamente con il suo sax alto, e spazio alle sortite soliste degli ottimi comprimari, a partire dal trombettisista Josh Evans. Uno schema che si ripete nei brani seguenti, la sensuale “New morning” agitata da un ritmo funk, la title track dai richiami elettro world, ed il tema di “Jubilation” costruito sul contrasto timbrico dei registri del sax.
La prima parte include anche una soul ballad di impronta piuttosto convenzionale, “Mercy” affidata alla voce di Diane Reeves, nonché lo spoken poetry di “Peace is a Haiku song” declamata dalla poetessa Sonia Sanchez. Si riprende poi a pieno ritmo con il crescendo di “Blast”, il tema contrappuntistico di “Moods” con il notevole drive hard bop della leader in piena azione, la quiete evocata da una ballad,“Rebirth”, giocata sul dialogo fra il sax ed il pianoforte di Victor Gould, le ascesi di “Trane” che si riallaccia alla precedente prova di Lakecia dedicata ai coniugi Coltrane (“Pursuance:The Coltranes” – Ropeadope). E ancora una “Supernova” raccontata da Wayne Shorter su sfondo elettronico, i guizzi e le iterazioni ornettiane di “Basquiat” prima di una ripresa del brano iniziale.La presenza di tante autorevoli “voci”, insieme alla produzione di un’altra protagonista della scena jazz contemporanea come Terry Lyne Carrington contribuisce a creare, intorno al sax ricco di suggestioni storiche ma fortemente saldo nel presente di Lakecia un’ aura, in larga parte giustificata, da nuovo fenomeno. Assistono la leader, oltre a quelli citati, Julius Rodriguez ale tastiere, E.K: Strickland alla batteria, Ivan Taylor al basso e Negah Santos alle percussioni. Lakecia sarà in Italia per presentare “Phoenix” , il 25 marzo a Bergamo Jazz e per il concerto c’è già chi è in fila.