DISCHI CALDI – FEBBRAIO 2023

…..giusto perchè non si può avere la foto di un laser che legge un CD….

Scorrendo gli archivi di Tracce 2.0 (ormai cospicui, prometto che al più presto ripristineremo la casella di ricerca proditoriamente sottrattaci da WordPress) mi sono reso conto che da lungo tempo non ci impegnavamo in un rapido orizzonte sulle uscite discografiche recenti od annunziate. Nota bene: non si parla di recensioni vere e proprie, ma di agili segnalazioni in grado di farvi capire se l’album rientra nel vostro orizzonte d’interesse oppure no.

Naturalmente il radar tende a scandagliare quadranti da cui ciascuno di noi si attende buone nuove: di qui la soggettività delle scelte, che nel mio caso peraltro mi sembra abbiano un oggettivo rilievo per motivi diversi. Lascio ai consoci il compito di guardare in altre direzioni.

James Brandon Lewis “Eyes of I”, ANTI-Records

A fine anno JD Allen ha raccolto un piccolo plebiscito nella redazione di Tracce con il suo ‘Americana vol.2’. Non poteva mancare una sorta di ‘replica’ da parte di James Brandon Lewis, che da gran tempo segue un percorso esistenziale ed artistico simile a quello di Allen, un caso di ‘vite parallele’ trasportate nel jazz. Ci sono ovviamente delle differenze: innanzitutto Lewis ha un’inclinazione molto più mutevole per quanto riguarda gli organici, che in questo caso vedono Chris Hoffman al violoncello e Max Jaffe alla batteria.

Se aggiungo che il cello di Hoffman molto spesso è quasi indistinguibile da una chitarra elettrica grazie a pedali elettronici applicati, capirete che stiamo parlando di una formazione veramente particolare.

Un punto di contatto con la ‘Americana’ di Allen risiede invece nel mood complessivo dell’album di Lewis: Brandon è un arrabbiato vero, anzi è andato oltre la rabbia sublimandola in un’inflessibile indignazione. Ne scaturisce una voce strumentale sempre controllata, anche se energicamente assertiva, un’eloquenza fluida ed immune da retorica.

Il fraseggio solido ed essenziale gli consente di passare senza soluzione di continuità da momenti di massiccia intensità sonora a meditazioni distese ad alta voce, come in “Someday we’ll be free”, un’isola di serenità anche se proiettata su di un futuro indefinito.

Questo album intriso di combattivo disincanto è a mio avviso un ascolto imprescindibile per chi voglia capire dove sta andando il jazz più consapevole e riflessivo di oggi. Consigliatissimo, purtroppo ancora una volta Lewis si è affidato ad un’etichetta di scarsa diffusione: per adesso il disco lo trovate in formato digitale in streaming e su Bandcamp.

‘Augmented Area’, un brano abbastanza rappresentativo di un album cangiante e complesso

Franco d’Andrea “Sketches of the 20th century” – Parco della Musica Records

Spesso ho usato l’immagine del laboratorio alchimistico per descrivere la musica di Franco d’Andrea. Negli ultimi anni tra alambicchi e provette abbiamo visto sempre meno alchimisti, ma stavolta ci troviamo invece in presenza di una vera folla di apprendisti stregoni: un’incursione nella dimensione orchestrale abbastanza inusuale per il nostro.

Non a caso la firma dell’opera vede a fianco di D’Andrea (compositore), Tonino Battista in veste di direttore e Eduardo Rojo nel ruolo di arrangiatore. Infatti a fianco di un già composito Jazz Ensemble (dove spiccano personalità rilevanti come Tino Tracanna, Mirko Cislino, Roberto Gatto e vari altri young cats della leva più recente) è in campo anche il PMCE-Parco della Musica Contemporanea Ensemble, un’orchestra da camera che vede una prevalenza di archi insieme ad alcuni fiati e percussioni.

Quest’album è figlio di un concerto tenutosi l’estate scorsa nell’ambito dell’intrigante e stimolante stagione estiva della Casa del Jazz di Roma (beati i romani…) e prende le mosse da un recente colpo di fulmine di D’Andrea per la musica del ‘900 europeo, che il nostro ha affrontato partendo dal suo noto approccio centrato sugli intervalli. Ad un primo ascolto mi è sembrato che l’evocazione più immediata e percepibile sia stata quella di Ligeti (”Interlude 1”).

Da una prospettiva jazzistica invece le dense atmosfere dell’album mi hanno ricordato quelle dei primi lavori di George Russell: linee melodiche marcate, ritmi puntati che mirano ad evidenziare una struttura nitida e futuribile.

L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad una sorta di ‘concept album’, caratterizzato da una grande varietà di situazioni, che tuttavia generano un mood unitario abbastanza percepibile: quello di un quieto e meditativo sperimentalismo, lontano da pose gladiatorie, ma caratterizzato da continua e sottile tensione. È senz’altro musica molto pensata, ma poco viziata dalla programmatica ed esibita cerebralità in cui spesso ci si imbatte altrove.

Nonostante la ricchezza delle risorse d’organico c’è poco spazio per il solismo e prevale una fitta tessitura d’insieme con un abile utilizzo della ricca tavolozza di timbri: anche D’Andrea si ritaglia solo un discreto ruolo di eminenza grigia tra le quinte, che peraltro gli somiglia molto.

Considerata la complessità e l’originalità del progetto, direi che ci troviamo di fronte ad un ‘unicum’ nel panorama jazzistico italiano, che solo il quieto ed inesauribile spirito di avventura di D’Andrea poteva regalarci: un ottantenne di sicuro avvenire….  

Elias in ‘Newton 2’…. Titolo un po’ esoterico per un brano luminoso

Elias Lapia “Tough Future” – Emme Record Label

Di questi tempi si ha qualche apprensione a ritornare su giudizi entusiastici formulati a botta calda tempo fa. Ma quello riservato al sax alto Elias Lapia a Fano nell’estate 2020 non solo resiste al tempo, ma trova una conferma ancor più convinta di fronte a questo ‘Tough Future’ (titolo significativo….).

Il contesto di gruppo è notevolmente cambiato: da un trio con qualche concessione alle contingenze, siamo passati ad un quartetto molto omogeneo ed equilibrato, che rivela una mano di leader già molto matura. Enrico le Noci alla chitarra elettrica si fa particolarmente notare sia per la puntualità ed efficacia nel ruolo di supporto del leader, che in spazi solistici in cui emerge per uno stile sobrio e concentrato tutt’altro che frequente sul suo strumento. Il miglior complimento che gli si può fare è che i suoi soli non fanno cedere nemmeno di un soffio la tensione e l’urgenza che sottilmente innervano le composizioni di Lapia.

E queste ultime sono un altro punto di forza dell’album, fornendo uno spazio ideale per il solismo nervoso ed inquieto di Lapia, sottolineato dal timbro agrodolce del suo alto ed irrobustito da frequenti incursioni nel registro grave dello strumento. Dai tempi di Fano il sound di Elias è pienamente maturato, assumendo caratteristiche molto personali e marcate: il penchant dolphiano si conferma evidente (rivelatore il gusto per il contrasto timbrico e dinamico), siamo di fronte ad un erede riflessivo e consapevole del grande Eric. Chapeau di fronte ad una scelta così coraggiosa e rigorosa. Del resto i premi intestati a Massimo Urbani ed a Chicco Bettinardi non vengono mai assegnati con superficialità.

In un gruppo che fa a meno del piano e dove il sax e la chitarra si lanciano in lunghi ed assorti voli il ruolo del basso di Alessandro Bintzios  e della batteria di Luca Gallo è cruciale: i due riescono a garantire un supporto a cui deve molto la fluidità e la scorrevolezza del discorso della band.

Anche qui l’album è disponibile in solo formato digitale, ma vi assicuro che vale qualche smanettamento per rintracciarlo su Spotify ed Apple Music dove è attualmente disponibile. Speriamo comunque in un’edizione fisica che questa musica merita senz’altro. Milton56

E come in ogni sessione live che si rispetti, concediamo il finale ad un travolgente Elias in ‘SP’, composizione particolarmente riuscita e coinvolgente

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