Jason Marshall – New Beginnings

JASON MARSHALL – “New Beginnings” (Cellar Records) Supporti disponibili: CD / digital download

La magia che pervade il Van Gelder Recording Studio, in cui è stato registrato questo “New Beginnings”, ha funzionato un’altra volta! Anche volendo mettere da parte l’aspetto romantico/esoterico che ci terrà sempre legati a quei luoghi in cui è stata registrata una parte cospicua dei capolavori che formano la storia del Jazz diciamo almeno che era da tempo che non traevamo tanto godimento dall’ascolto d’un sax baritono: potente, energico, di viva eloquenza. Jason Marshall non teme ingombranti confronti, il lungo sodalizio con Roy Hargrove e la militanza nella Mingus Big Band lo han reso ancora più sicuro dei suoi mezzi e qui lo vediamo immerso in una celebrazione jazzistica in piena regola, alle prese con una serie di brani adorati, come il vigoroso “Recorda Me” di Joe Henderson posto strategicamente in apertura di album e spinto con ironico feeling a profondità da palombaro….

Non manca nella set-list la celebre Nigeria all’incontrario, capolavoro rollinsiano del ‘54 (“Airegin”) che il sassofonista ha riarrangiato e che bazzica da diversi anni, la usava come hit nei concerti della sua “Jason Marshall Big Band” che ha fatto faville al Minton’s. In questa versione Marshall prende di petto il brano sfoggiando maestria tecnica e verve solistica su di un up-tempo in cui s’esaltano anche gli altri lati dell’esplosivo quartetto, in primis mister Marc Cary, pianista 55enne semi sconosciuto dalle nostra parti ma con pedigree di tutto rispetto, un jazzman capace d’imprimere sempre il suo marchio anche in veste di sontuoso sideman , e infatti non è un caso che Cary abbia collaborato con gente del calibro di Dizzy Gillespie, Roy Hargrove, Jackie McLean e tanti altri ancora.

Con questo lavoro Marshall conferma di avere assorbito come meglio non si potrebbe lo stile dei suoi principali mentori, celebri sassofoni baritoni come Ronnie Cuber, Gary Smulyan ed Hamiet Bluiett. Nella mingusiana “Peggy’s Blue Skylight” è proprio di quest’ultimo che si sentono gli echi, anche se è in “Fallen Feathers” di Quincy Jones che si materializzano, come piume che cadono dall’alto, spiriti di benedicenti giganti (il brano è un’elaborazione di “Parker’s Mood”). Si badi bene, non si tratta di un gruppo con lo sguardo rivolto “solo “al passato, la ritmica, moderna e sofisticata con Gerald Cannon al basso e Willie Jones III alla batteria, gioca un ruolo importante nella costruzione a contrasti dei brani, così come avanzato è lo slancio di Marshall, che ha un suono bellissimo e si sporge sempre più verso un fraseggio spericolato, dalle poderose progressioni armoniche.

Le soluzioni avanzate che il quartetto va a trovare non sono mai disgiunte da totale controllo e rigore formale, questi “nuovi inizi” partono da lontano ma paiono avere molta strada da fare, speriamo vivamente di avere la possibilità di vederli in azione dalle nostre parti, è già capitato che queste colonne mezzo apocrife abbiano “portato fortuna ” e siano servite (in modo obliquo e minimo, per carità! lasciamo per quanto possibile ad altri il ridicolo culto del proprio ego) ad aprire sia pur faticosamente alcuni canali ed a mettere sotto lo spotlight alcuni tra i molti, moltissimi jazzisti meritevoli di miglior sorte, chissà che non succeda anche stavolta, saremo ovviamente i primi -da disincantati jazz-fans- a spellarci le mani in penultima fila. dandoci di gomito.

2 Comments

  1. Bella scoperta, questo Jason Marshall. Già dalla scelta dei temi si vede che si tratta di uno che sa il fatto suo. Ottima occasione per mettere in luce Mark Cary, pianista e tastierista veramente versatile e creativo. Al suo curriculum aggiungerei anche diverse apparizioni a fianco di David Murray, leader alquanto esigente e soesso brusco, specie sul palco: la cosa la dice lunga sulle qualità di Cary…. Milton56

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