CONSIDERAZIONI DI UN IMPOLITICO – RISPOSTA DI UN CINICO OTTIMISTA AD UN ABOMINEVOLE STANCO

… come si può vedere, da queste parti non scarseggia certo la faccia tosta….

E rieccoci con il consueto botta e risposta con Rob53, ormai mutato nell’Abominevole Jazzofilo delle Nevi . Per non esser da meno, io sguinzaglio l’Impolitico, in una versione insolita però: dovete sapere che oltre all’Ottimismo della Volontà, c’è anche quello del Cinismo, che subentra quando il ciarpame ha raggiunto un tale livello di guardia che non resta che metter mano al bidone aspiratutto per tornare a respirare a pieni polmoni.

Procediamo in ordine decrescente di molestia/irrilevanza

Umbria Jazz Summer.

Ormai si tratta di un altro caso di mutazione inquietante, ma qui siamo alla vigilia dell’autoestinzione. Leggevo tempo fa la valutazione di un professionista dell’organizzazione di grandi concerti: con ottica esclusivamente e freddamente tecnica argomentava che l’Umbria Jazz che allieta la vecchiaia di molte glorie del pop con cachet a cinque zeri non è strutturalmente in grado di raggiungere un punto di equilibrio che richiederebbe platee quantomeno nell’ordine di varie decine di migliaia di spettatori. Anche a prescindere dalle modeste dimensioni dell’Arena S.Giuliana, l’attuale bacino di nostalgici portatori di carta di credito oro va inesorabilmente assottigliandosi sia per ragioni anagrafiche che di censo (impensabile reclutare equivalenti leve spettatori più giovani in grado di sborsare 70/80 euro per concerti in un’arena in balia degli elementi…). Il problema quindi si risolve da sé, bilanci alla mano. Stiamo quindi parlando di una causa persa: ulteriore accanimento è crociata donchisciottesca, e potrebbe facilmente dare adito a reazioni vittimistiche, che vanno tanto di moda tra i nostri potenti da qualche tempo a questa parte (anche perché redditizie in termini di consenso, la sceneggiata è sempre genere di grande successo). Del ghetto del Morlacchi è meglio non parlare nemmeno.

E giacchè siamo in argomento, iniziamo una serie di ‘ascolti pigri’: Lester aveva tutte le ragioni per esserlo, con quello che aveva passato nei campi di punizione dell’U.S. Army. Grande e nobile pigrizia, comunque, siamo nel 1952

La stanchezza della musica.

Molto tempo fa dedicammo qualche riflessione alla ‘troppa musica’. Ascoltare tanto affidandosi alla legge dei grandi numeri per azzeccare un incontro musicale decisivo mi sembra una tattica logorante per chi la pratica: mi ricorda un poco quegli uomini di fede che setacciano quintali di ghiaia in certi torrenti nostrani perché qualcuno anni fa ha vagamente alluso al ritrovamento di qualche pagliuzza d’oro. Per quanto mi concerne, sono passato ad ascolti molto guidati e selettivi: non ho nessuna fiducia nell’emersione dal nulla di talenti insospettati ed inattesi. Questo perché viviamo in anni in cui in molti campi dell’arte – ed in prima fila quello del jazz – si assiste ad una spasmodica ricerca del nuovo messia, del personaggio carismatico che non faccia rimpiangere quelli di un passato che ormai si misura in decenni (carismatici che peraltro sono stati riconosciuti come tali dopo dura gavetta accompagnata da salve di fischi). Cosicché non appena si profila qualche giovanotto/giovinetta di un certo talento lo/la si esalta, lo/la si vizia con esaltazioni acritiche ed incondizionate che gli impediscono di crescere lasciandosi alle spalle immaturità e tentazioni: in assenza di quel duro confronto con la realtà che affinava i fuoriclasse di un tempo, spesso si assiste a precoci attacchi di megalomania e di narcisismo, che sommergono i semi di un talento che dovrebbe crescere con più calma. L’inventario degli idoli caduti ed infranti negli ultimi anni è lungo ed imbarazzante: molto tempo e molti ascolti faticosi gli sono stati dedicati, e questo logora ed immalinconisce anche l’ascoltatore più attrezzato e smaliziato. Specie di questi tempi, la musica deve restituire un ritorno di emozione, che certo non viene dagli eterni cantieri di lavori in corso di ‘progetti’ che non giungono mai ad un esito definito e riconoscibile.

Dal canto mio, continuo a servirmi della tecnica del ‘tirare i fili’, cioè del seguire tutti i collegamenti e gli incroci che nascono da figure e realtà ben conosciute, caratterizzate da percorsi coerenti e ben delineati.  E soprattutto approdate ad esiti espressivi ed estetici compiuti e comunicativi. Sinora ha dimostrato di funzionare, risparmiandomi deludenti e logoranti ‘ascolti a vuoto’

..la notte poi è il regno della lentezza….un momento raro negli intensissimi 31 anni di Sonny Clark. 31 anni alquanto ingrati, i brani di questo raro album dovevano finire nei 45 giri dei juke boxes

Musica del vivo versus registrata.

Dissento dall’idea che si possa vivere di sola musica registrata. In primo luogo, la musica è esperienza anche fisica, difficilmente riproducibile in ambito domestico. Dove poi manca del tutto quella dimensione un po’ rituale dell’ascolto collettivo condiviso con sconosciuti con cui per un’ora o poco più si entra in silenziosa sintonia. In sostanza, la stessa magia del cinema consumato al buio in sala: tutt’altra la concentrazione e soprattutto la partecipazione.

Poi dimentichiamo che la nostra musica è determinata in modo decisivo da quello che in teatro chiamano il ‘quarto lato’: cioè noi, il pubblico. Proprio in questi giorni ho vissuto l’esperienza del clamoroso ribaltamento di un mezzo flop discografico in una performance live del tutto memorabile (niente spoiler, però, è materia di Istantanea in gestazione…): il segreto sta tutto nell’ambiente e nella risposta decisiva di un pubblico che entrambi hanno cambiato completamente le carte in tavola.

Anche perché nel tribolato campo della discografia si assiste a numerosi fenomeni distorsivi: dagli album ‘troppo prodotti’ (cioè la musica di produttori e di etichette che si sovrappone a quella dei musicisti, caso raro ma reale…) a quelli dove invece si nota la latitanza di un filtro su ingenuità, prolissità ed eccentricità effimere. A quest’ultimo riguardo, di recente abbiamo parlato dell’eclisse della figura del produttore intesa in senso positivo e creativo, inutile tornarci sopra.

La necessità di emergere in un mare magnum di troppe incisioni (molte delle quali non epocali) porta anche musicisti di notevole valore ad indulgere in studio di registrazione a levigatezze di maniera, ad abbellimenti che somigliano alle paillettes degli abiti da sera: sono cose che si notano soprattutto nei brani singoli che vengono ormai regolarmente pubblicati a mo’ di trailer dell’album in arrivo. E spesso l’ascolto di quest’ultimo viene molto condizionato dai lustrini dell’anteprima, anche se ha sostanza spesso diversa.  Piccole astuzie del mestiere che si dissolvono come neve al sole sul palco.

E se ho già avuto modo di constatare che diversi miei musicisti preferiti e seguiti sono sottorappresentati dalla loro discografia pur essendo delle figure di prima grandezza, figuriamoci se posso rinunziare alla ‘prova del palco’ prima di farmi una qualche idea di jazzmen e gruppi a me quasi sconosciuti o tout court esordienti in assoluto.

Si è fatto tardi, riporto in cella l’Impolitico, tra l’altro sarebbe imprudente farlo discettare sulle querelles a mezzo web tra musicologi jazz di chiara fama, altro argomento spinosetto. Godetevi le clips della pagina, perché meritano….. Milton56

E qui la pigrizia è addirittura nel titolo….. Nonostante l’ammirata perla di ‘Basra’, LaRoca poco dopo posò per sempre le bacchette per andare a fare l’avvocato. Memorabile la sortita di Joe Henderson, siamo nel 1965

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