BERGAMO JAZZ SCALDA I MOTORI

Come ogni anno, uno dei Festival jazz più antichi d’Italia ritorna a proporci le sue selezioni.

Seguendo il mio metodo consolidato, vi rimando prima di tutto alla consultazione dell’intero programma. Non sfuggo però al compito di indicarvi e quelli che a mio avviso appaiono gli appuntamenti più interessanti.

Cominciamo col dire che la concentrata manifestazione corre su almeno tre binari separati, ognuno dei quali con una sua anima e vocazione.

Ovviamente il palco principale è quello del Donizetti, da un paio d’anni restituito al pubblico dopo lunghi lavori di restauro. En passant, va notato che questo grande teatro di tradizione mi sembra sia l’unico del suo genere in Italia a aprire le sue porte al jazz, offrendogli anche una collocazione di rilievo.

Il 22 Marzo il potente Partito della Chitarra potrà dirsi soddisfatto del fatto che l’inaugurazione del Festival spetti a John Scofield con il suo ‘Yankee go home’: le venature rock e country della sua musica garantiscono un sold out sicuro . Ma io guarderei con maggiore interesse al secondo set della serata, il quartetto di Miguel Zenon. Dalle nostre parti consideriamo con un poco di sufficienza al grande mondo della musica latina, che viceversa In America viene tenuto in grande considerazione sia per la sua fisionomia propria (o meglio della grande varietà di filoni e tendenze che raccoglie), sia per gli scambi sempre più intensi con il mondo del jazz mainstream. Emblematica da questo punto di vista la figura dello stesso Zenon, presente con lo stesso impegno sia in formazioni afroamericane, sia in produzioni che evidenziano le sue radici. Ad accompagnarlo al piano sarà Luis Perdomo, autentico campione del pianismo latino che ha già affiancato Zenon in un bell’album in duo. Sotto molti profili un’occasione da non perdere, a mio avviso.

La sera del successivo 23 vedrà salire sul palco il quintetto di Bobby Watson, un inossidabile e vitale veterano dell’hard bop più avanzato degli anni 80: un sano tuffo in una moderna classicità. Rinvio in blocco alla recentissima cronaca dell’amico Andbar, non senza osservare che il pianista Jordan Williams (un tyneriano di razza) è ben più che una promessa.

1974, Art Ensemble: ricordiamoceli così, grazie da una splendida foto di Roberto Polillo

A chiudere la serata provvede la formazione raccolta da Famadou Don Moye, cui idealmente è affidato il compito di rammentare il cinquantennale dello storico concerto che l’Art Ensemble of Chicago tenne nel 1974 proprio a Bergamo. A costo di sollevare un piccolo vespaio, ritengo che questa formazione debba essere ascoltata per quello che è, elaborando finalmente il lutto per la definitiva e ormai datata scomparsa di quella splendida ed irripetibile esperienza regalataci da Bowie, Jarman, Favors, che purtroppo ci hanno lasciato da molto tempo. Non bastano un paio di tessere di scorcio ed un po’ virate di colore a ricostruire un grande e contrastato mosaico.

Una recente riedizione audiofila, ma la grafica è genuinamente d’epoca

Domenica 24 Abdullah Ibrahim, già il Dollar Brand dell’ormai mitico ‘Anatomy of a South African Village’,  ci farà assistere al miracolo di novant’anni festeggiati  dietro una tastiera sul palco.

Ma nel festival bergamasco bisogna tenere ben d’occhio anche i rami collaterali: al Teatro Sociale in Città Alta il trio Perez/Patitucci/Blade inevitabilmente susciterà il ricordo del compianto Shorter (21 Marzo). Intriga molto il debutto italiano di Ana Carla Maza (24 marzo), violoncellista e cantante: un’ulteriore frutto di quella agguerrita scuola cubana che ha già dato molto alla scena jazzistica, basti pensare alla lunga serie di pianisti arrivati dall’Isla Grande: una delle doti di questi musicisti è quella di saper parlare ad un pubblico ampio senza scadere nella banalizzazione delle proprie radici (almeno sinora).

Una segnalazione ad hoc la meritano anche le ‘Scintille’ curate dall’ottimo Tino Tracanna: una selezione di giovani jazzisti italiani cui viene offerta la possibilità di uscire dalle molte stanze remote ed isolate in cui è frantumata la nostra scena per proporsi ad un pubblico diverso e più ampio rispetto a quello che li ha visti debuttare. Diverse carriere di prima grandezza sono decollate da questi piccoli palchi. Un’indicazione pratica: si tratta di concerti gratuiti, ma è opportuno prenotarsi per tempo, considerata la limitata capienza dei vari siti che ospitano i concerti.

Infine, ‘dulcis in fundo’, quella che per me è la vera ‘perla nascosta’ del Festival: il piano solo di Dave Burrell al Teatro S.Andrea (21 marzo, h 17). Forse il suo nome non dirà molto agli ascoltatori più giovani, ma Burrell ha alle spalle una lunga ed avventurosa carriera da sideman di gran classe a fianco di un gran numero di protagonisti del jazz degli anni ’60 – ’80, in prima fila Archie Shepp e soprattutto David Murray, con cui ha stretto un profondo e duraturo sodalizio che ha prodotto una lunga serie di album di gran livello, alcuni dei quali della nostra rimpianta Black Saint. L’attitudine indagatrice ed introspettiva con cui il pianista radiografa autentici reperti del jazz classico troverà senz’altro una cornice ideale nello spazio raccolto e sottilmente esoterico del S.Andrea: si annuncia una performance magica come quella di Nick Bartsch dell’anno scorso nello stesso sito. Un teaser per invogliarvi, dall’album in solo inciso mesi fa per Parco Della Musica. Buone esplorazioni. Milton56  

2 Comments

  1. Condivido tutto quello che l’amico Milton descrive, per me il festival di Bergamo e’ stato a lungo un riferimento importante e formativo. Solo un piccolo appunto: negli ultimi anni si e’ un po’ perso quello spirito innovativo e avventuroso che ha permesso di ascoltare musicisti pressoche’ sconosciuti in Italia ma che poi si sono rivelati grandi protagonisti. A mio parere Rava e’ stato il direttore artistico che meglio ha saputo direzionare scelte innovative, conscio che le serate al Donizetti debbano richiamare un pubblico piu’ vasto, ha contemporaneamente inserito nei concerti pomeridiani nomi di grande interesse per chi segue i fermenti nuovi che giungono dagli States (e non solo). Mi e vi auguro che nel futuro venga riservata maggiore attenzione a musicisti meno impattanti sui soldi out ma molto piu’ remunerativi in termini di emozioni.

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    1. Un paio di possibili migliorie per Bergamo Jazz: dare maggiore visibilità ed accessibilità alle Scintille, offrendogli siti più centrali e capienti (tenendo presente che spesso i giovani musicisti non fanno ‘musica per giovani’…). Una tradizione che andrebbe ripresa è quella della proiezione di film di argomento jazzistico: l’offerta proveniente dagli States è ampia, soprattutto per i documentari. Non credo che i loro diritti costino granchè se rapportati ai mezzi messi in campo da Fondazione Donizetti. E Bergamo Jazz – insieme a JazzMi – sarebbe una delle pochissime occasioni per accedere ad opere di livello artistico spesso notevole e di insostituibile valore storico ed informativo (penso soprattutto alle testimonianze di grandi musicisti scomparsi che spesso contengono). Il vicino Bergamo Jazz Meeting potrebbe dare una valida mano…. MIlton56

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