MICHAEL CUSCUNA 1948 – 2024

“La musica è industria”, suole affermare il mio guru di riferimento. Con ciò si vuole intendere che, al contrario di altri campi creativi, per far arrivare la musica agli ascoltatori è sempre necessario un apparato organizzativo, piccolo o grande che sia. Ci sono quindi molte persone che si muovono ‘dietro le quinte’ della musica, e difficilmente si tratta dei musicisti stessi che quasi mai dimostrano le attitudini organizzative necessarie: del resto già ne hanno d’avanzo nel crearla, la musica.  

Senza questi ‘invisibili’ la musica – soprattutto una indipendente e senza patroni come il jazz – non ci raggiungerebbe mai.

Il nome di Michael Cuscuna dirà poco a molti di voi, specie ai più giovani. Eppure il jazz ha con lui un debito grandissimo.

A 14 anni già era nella piccionaia del Birdland, una presenza di frodo considerate le rigide leggi americane in fatto di locali notturni. Nonostante fosse un totale clandestino, una sera prende il coraggio a due mani e rivolge la parola ad Elvin Jones, raccontandogli della sua passione per il jazz. E Jones: “Ottimo, abbiamo appena inciso un disco, credo proprio che ti piacerà. Il titolo è ‘A Love Supreme’” (sic!). “… E’ la roba che ti raggiunge tra i 14 ed i 25 anni che resta con te tutta la vita. Dopo non assorbirai più la musica in quel modo”, ebbe a dire Michael anni dopo: una grande verità, mi vengono i brividi a pensare a quello che viene messo sotto il naso dei ragazzi di oggi, e soprattutto a quello che rimane completamente fuori della loro portata.

Cuscuna in studio di registrazione…..

Seguono anni intensissimi, divisi tra il giornalismo musicale, la conduzione radiofonica in piccole stazioni FM, qualche esperimento con la musica suonata; la sua agenda si riempie di telefoni di musicisti con cui intesse fittissimi rapporti di frequentazione ed anche di amicizia. Dalle note di copertina passa poi alla produzione: la Atlantic gli affida gli album di Dave Brubeck e dell’Art Ensemble of Chicago, tanto per dire. Passerà anche da Impulse e da Arista – Freedom, splendido catalogo dei primi anni ’70 che ora è sepolto chissà dove. Sembra che la sua firma di produttore compaia su qualcosa come 2.600 album, compresi alcuni di rock, di R&B: Cuscuna non era un ‘ascoltatore ad una dimensione’.

Gli album della Arista: chissà dove sono finiti. Questo però l’ho acciuffato 🙂

Nei primi anni ’70 le fortune commerciali del jazz sono prossime allo zero assoluto. Le grandi compagnie discografiche se ne interessano poco e male, le etichette indipendenti che hanno fatto la sua storia negli anni d’oro o scompaiono o sono ridotte ad uno stato pressochè vegetativo. Tra di esse la gloriosa Blue Note, che dopo l’addio (molto amaro, a quanto sembra) di Alfred Lion prima e Francis Wolff poi galleggia a stento producendo poca musica che allora veniva definita ‘crossover’. In pratica l’etichetta creata nel retrobottega di un negozio di radio nel 1939 è poco più di un archivio, peraltro chiuso a chiave per il disinteresse delle grandi corporations discografiche che se ne palleggiano maldestramente la proprietà in una serie di passaggi di mano del tutto speculativi e fallimentari.

Dai block notes ai libri su Blue Note: uno dedicato all’archivio fotografico di Franci Wolff, l’altro è una discografia completa dell’etichetta. Quest’ultima è un’opera definitiva: comprende qualcosa come 700 titoli….

Cuscuna è già uomo di grande competenza storica e musicale, cui aggiunge le confidenze di molti jazzmen passati di lì che gli parlano a più riprese degli insondati recessi degli archivi di quella che è sempre stata la sua etichetta preferita. Attraverso la sua ramificatissima rete di contatti, Michael riempie a riguardo pagine e pagine di suoi taccuini, ma non riesce ancora ad infiltrarsi tra gli scaffali della comatosa Blue Note 1.0. Nel 1974 avviene l’incontro decisivo: quello con Charlie Lourie, già dirigente CBS ed ora responsabile commerciale di Blue Note, e qui inizia una grande storia di lavoro e di amicizia.

Una bella coppia: Lourie se ne è andato qualche anno fa, Mosaic ha subito un serio contraccolpo

Mentre perdura l’ignavo immobilismo degli ‘uomini d’azione’ del management, Cuscuna inizia con il sostegno di Lourie un vasto programma di ristampe del vasto catalogo Blue Note, avviando il rilancio anche commerciale dell’etichetta mentre proseguono le sconclusionate manovre societarie al vertice.  

“Se la musica merita di riemergere, sinchè non viene pubblicata in realtà non esiste. E se aspetti abbastanza a lungo, i nastri andranno perduti, o verranno cestinati od anche rubati (sic! Dalle nostre parti ne sappiamo qualcosa…. N.d.R.). Così guardo ad ogni ristampa come se fosse l’ultima volta che si mette mano a quel materiale. (…). Faccio l’impossibile per migliorarlo, renderlo completo e sistemato più che si può, perché può non accadere mai più”

E’ da questa filosofia che nasce una bella impresa. Cuscuna e Lourie sono quasi paralizzati dal caos societario che per anni coinvolge Blue Note, proprio mentre hanno toccato con mano la ricchezza e la qualità dei suoi archivi. Cuscuna poi viene remunerato con la cessione di scatole di dischi….(sic! Di nuovo). Sì, sono uomini di passione, ma sanno anche muoversi con abilità, inventiva e soprattutto indipendenza nel mondo discografico americano (all’epoca tutt’altro che un giardino d’infanzia, tra l’altro).

Inventano la formula dell’acquisto temporaneo dei diritti sul materiale musicale, per riedizioni limitate anche nelle tirature. Bussano alle porte delle grandi corporations del disco proponendo la loro formula per ottenere in uso temporaneo i nastri master di interi periodi della discografia di un musicista, da ripubblicare a loro cura e spese. Gli sciatti e neghittosi Golia del disco aderiscono senza nemmeno immaginare cosa sta per succedere.

Non è il primo dedicato a Monk, è uno successivo dedicato a Mobley. Desideratissimo e ricercato tuttora

Nel 1983 esce un elegante box nero dal titolo “Thelonious Monk: the complete Blue Note recordings”. Dentro oltre agli LP c’è un corposo album, fitto di saggi e testimonianze sul tema e di molte fotografie, spesso inedite. I brani sono sistemati in rigoroso ordine cronologico, con scrupolosa e verificata ricostruzione dei dati discografici, formazioni in testa. Molto materiale è del tutto inedito oppure indisponibile sul mercato da anni; la qualità sonora delle ristampe è anni luce al di là dei migliori standard dell’industria discografica dell’epoca . Cuscuna ha in mente il modello dei boxes della Columbia degli anni ’60, le Rolls Royce della discografia. Ma sa anche che altri hanno ritentato l’impresa, ma con esiti commerciali catastrofici: la scommessa è quantomai rischiosa, il prodotto ha un prezzo consistente (ma pur sempre inferiore all’acquisto di tutti i singoli album, spesso reperibili solo a sangue di papa sul mercato collezionistico).

La Mosaic Records degli ultimi anni. a grandi idee bastana anche piccole stanze. Anche un po’ incasinate….

Invece la tiratura di 5.000 copie sparisce in soffio. Sarà così anche per gli altri 275 (!!!) ‘black boxes’ che seguiranno (l’ultimo pochi mesi fa). Mosaic Records ha spiccato il volo…..una creatura aerea che vive di vendita diretta, nessun distributore e magazzino leggero.

Dall’Era Swing…….

Questo debutto ed il prosieguo non passano inosservati, soprattutto nel mondo della musica. “Non importano le produzioni o le altre cose che farai, la cosa per cui sarai ricordato è l’aver salvato tutto quel materiale Blue Note” . E’ Woody Shaw che parla di Michael: ora il geniale e sfortunato trombettista ha anche lui un ‘black box’ a lui dedicato. “Non so com’è, ma mi ricordi Alfred Lion (il profugo berlinese fondatore di Blue Note, N.d.R.)”: qui a parlare è Art Blakey, non proprio un sentimentale dal cuore tenero. Non è l’unico a pensarlo: un giorno Cuscuna riceve un grosso baule, dentro ci sono le migliaia di foto scattate da Francis Wolff durante le sessioni di registrazione della Blue Note. E’ una delle ultime cose che fa Alfred Lion prima di morire: è un chiaro, esplicito passaggio di testimone.

…. alla AACM…..

Mosaic nel frattempo si costruisce tra i veri appassionati di jazz una reputazione che sconfina nel mito. Anche perché con audacia fa riemergere interi arcipelaghi di musica dimenticata. Tina Brooks, Herbie Nichols, chi erano costoro? Ci pensarono i boxes Mosaic a rivelarli come le figure di culto che sono oggi, anche tra i loro colleghi. A proposito di jazzmen, ad un certo punto entrare nel catalogo Mosaic equivaleva ad esser accolto nella Pleiade di Gallimard per uno scrittore francese (in Italia abbiamo i Meridiani Mondadori, un gotha sinchè si è dedicato ad autori scomparsi di fama consolidata, quando però ha cominciato a santificare certi viventi…. Ehm, sopravvoliamo, come dicevano ad Avanzi).

Giustizia per gli ‘unsung heroes’

Però nei piani alti della grande industria discografica non tutti si dedicano alla pesca dell’oliva nel Martini: qualcuno capisce che in quelle vecchie scatole di latta impolverate c’è roba che si può convertire facilmente in contanti sonanti: e così a licenza scaduta, molti ‘cofanetti neri’ vengono ripubblicati pari pari dalle major, ovviamente a tirature molto più consistenti e con distribuzione capillare. Ma la cosa non è così semplice: bisogna imparare da Mosaic l’arte del restauro e talvolta della ricerca di nastri e matrici in condizioni più che precarie, scovare e tenersi tecnici del suono che sono autentici artisti nel loro campo, come quelli di cui si servono Cuscuna e Lourie.

Nella fucina di Mosaic: notare le discussioni sulla matrice da scegliere (entrambe malmesse anzicheno…)

In poche parole, i due hanno avviato il salvataggio e la ricostruzione filologica dell’intera storia del jazz. Che quindi finalmente assurge allo status di musica d’arte, di ‘bene culturale’ come diremmo noi con il nostro triste italiano burocratico. La rivoluzione avviata dal bebop ora è veramente compiuta. Oggi le ‘ristampe’ rappresentano quasi il 50% della produzione discografica jazzistica (e non solo).

Mitchum ne ‘Il Giorno più lungo’. In divisa c’è stato anche fuori dal set…

Ma ritorniamo alla Blue Note. L’etichetta ha trovato finalmente un’assetto proprietario stabile con l’ingresso di una grande multinazionale del multimedia. Al timone è stato messo Bruce Lundvall, ex alto dirigente della CBS e personaggio di primo piano del mondo discografico. Come descrivervelo? Avete presente Robert Mitchum ne ‘Il Giorno più Lungo’, quello che con i suoi genieri arriva in cima alle scogliere normanne arrampicandosi con rampini e scale di corda e mettendo fine alla carneficina di Utah e Omaha Beach? Ecco, Lundvall era un tipo così, determinato, duro, capace di celebri repliche trancianti e taglienti nei riguardi di chicchessia. Ma un altro con una passione dentro. Era l’unico manager presente a Woodstock nel 1969, ed in piena era reaganiana portò per la prima volta dal 1961 degli americani a Cuba: solo che quelli del 1961 erano uomini CIA armati fino ai denti, quella di Lundvall era una carovana di jazzisti accolti trionfalmente all’Avana, figurarsi il putiferio al ritorno in patria.

Bene, Lundvall vuole a tutti i costi Cuscuna e Lourie con sé. Dall’alto gli viene obiettato che ‘quelli sono concorrenti’: l’elefante che prende le sue precauzioni verso una zanzara, roba da piegarsi dal ridere. Replica irriferibile di Lundvall, che assume Cuscuna come ‘consulente’: in realtà il suo braccio destro. (Ri)nasce la Blue Note 2.0, con nuove produzioni, scoperta e valorizzazione di nuovi talenti (molti dei quali in prima fila oggi, per esempio Jason Moran). Cuscuna ne approfitta per tuffarsi negli archivi e scopre che per ogni album originale spesso c’è un intero ‘disco parallelo’ di brani non pubblicati per mancanza di spazio sugli LP (negli anni ’60 un album doppio jazz era eresia inconcepibile). Spiace per i vinildipendenti, ma qui il bistrattato CD da 75 minuti 75 di musica fa il miracolo. Nasce la RGV Series: Michael riporta l’arzillo settantenne Rudy Van Gelder dietro la consolle e gli fa rimasterizzare in formato digitale a 24 bit le sue registrazioni degli anni ’50 e ’60. La qualità sonora e la cura filologica Mosaic su dischi a medio prezzo in ampia distribuzione. Persino qui in Italia arrivarono a pacchi, a prezzi molto abbordabili: l’acquisto per corrispondenza di un box Mosaic era invece faccenda complessa anzichenò, ci voleva carta di credito, poi c’erano le ineffabili dogane di un paese in cui il contrabbando muoveva invece intere navi……  Molti di questi dischetti mi guardano ora dai miei scaffali, e suonano sempre splendidamente, con i loro booklet con note di copertina originali affiancate ad altre nuove di inquadramento storico… e con le foto del baule, quelle di Wolff…

Connaiseur Series, il salotto buono della RGV: titoli rari e raffinati. Sulle bancarelle dell’usato con un poco di fortuna il trovate per 5 o 10 euro

Cuscuna ci ha lasciato il 20 aprile scorso, ha lavorato quasi sino all’ultimo, c’è una sua foto del gennaio scorso (Downbeat gli aveva assegnato un premio alla carriera) che racconta di giorni strappati al destino. I boxes Mosaic ormai fanno sporadiche apparizioni sul web in copie usate amorevolmente trattate, ma a prezzi multipli di quelli originari. Sono pochissimi, molto desiderati, è logico che sia così. Sarebbe bello che i c.d. ‘titolari dei diritti’ affittati precariamente da Cuscuna e Lourie facessero il bel gesto di ripubblicare qualche loro box, soprattutto quelli dedicati agli ‘unsung heroes’; tra l’altro sarebbe un ottimo affare. Il possibile erede cui affidare l’impresa io lo vedo già….. Cuscuna e Lourie sorriderebbero contenti, lasciateci sognare un poco ad occhi aperti….Milton56

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