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ENTEN ELLER, CORPO A PIÙ ANIME
libro in forma d’Intervista su Enten Eller, con musicisti, danzatori, fotografi,scrittori che hanno collaborato con il gruppo in questi loro oltre 30 anni di storia a cura di Davide Ielmini
Prefazione
di Claudio Sessa
Davide Ielmini apre questo complesso lavoro con la formula retorica della negazione. Ci dice che cosa «non» si è proposto di scrivere, per poi sostenere che il suo è «solo» «il racconto umano di chi la musica l’ha vissuta». È perfettamente vero. Ma Ielmini trascura, con modestia, un fatto essenziale: è dannatamente difficile comunicare questo «racconto umano» in modo che per il lettore diventi concreta esperienza. Il suo metodo di lavoro ci porta nel cuore avventuroso di questi uomini e donne che «raccontano» non solo la propria storia ma le proprie emozioni, le proprie interazioni, e soprattutto il modo in cui esse trascendono da esperienza quotidiana a realtà estetica. Vita, appunto: quando Ielmini parla di «chi la musica l’ha vissuta» intende proprio, in maniera forte, questa trasfigurazione.
Essa traspare da ognuna delle testimonianze, che pure trattengono vivacemente nelle risposte la personalità dei singoli interpellati. Sono individui diversi, qualcuno è riflessivo, qualcuno impetuoso; c’è chi si nasconde dietro la timidezza oppure dietro la battuta spiritosa, chi offre a viso aperto la propria esperienza; chi squaderna il proprio curriculum per sintetizzare una biografia, e chi all’inverso racconta il proprio percorso umano per spiegare le svolte professionali. Insomma, è una microsocietà con tutti i suoi ruoli, una famiglia-tribù che Ielmini racconta come fosse un divertito antropologo consapevole di far parte della stessa etnia che osserva e analizza.
Ma appunto; le interviste di Ielmini alla fine rivelano un disegno. Non servono solo a far emergere le persone, ma a delineare i contorni e le attitudini della «super-entità» costituita da Enten Eller, uno dei gruppi più originali e al tempo stesso più sfuggenti di tutta la scena italiana devota all’improvvisazione creativa. Le voci di questo libro chiariscono bene quanto Enten Eller si sovrapponga con la forte figura del suo primo motore, Massimo Barbiero, e quanto invece il gruppo abbia saputo crescere per conto proprio, nutrendosi virtuosamente della linfa vitale di tutti i suoi membri. Così, alla fin fine, è Enten Eller che parla, dalla prima all’ultima pagina.
Ma in questo percorso di conversazioni corali, il “corpo” di Enten Eller non è dispiegato su un tavolo anatomico, per scavare nei suoi organi vitali con l’indifferenza dell’anatomopatologo. Al contrario, Ielmini rispetta questo organismo lasciandolo libero di muoversi come crede, lo osserva reagire in piena libertà. Il fatto di porre spesso le stesse domande ai suoi interlocutori non rappresenta una gabbia precostituita, ma una griglia interpretativa che apre spazi in ogni direzione; queste domande sono finestre che guardano ai paesaggi più diversi.
In più, Enten Eller non è fatto solo di artisti (musicisti, danzatori, creatori di testi e di immagini) ma anche del territorio in cui è nato e cresciuto, Ivrea, e della peculiare vicenda sociale che la città ha rappresentato durante e dopo la grande avventura Olivetti. Forse per questo la formazione è così irriducibile ad ogni altra realtà nazionale: perché si innesta in un tessuto unico. Eppure c’è da credere che (anche a volere occuparsi solo di quella che è un’esperienza multiforme ma pur sempre limitata, la varietà del jazz italiano) siano altrettanto «uniche» le realtà territoriali che hanno dato vita a tutte le importanti esperienze conosciute a casa nostra nei vari decenni. E allora questo libro può diventare anche un importante modello per chiunque voglia avviare una ricerca sul campo che arrivi a decifrare il mondo, tanto affascinante anche per gli ascoltatori del resto del mondo, del jazz nazionale.
L’ha ribloggato su TRACCE e SENTIERI.
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