Un altro mondo è possibile

From now on, I guess you can call me “Snarky Yuppie” (was glad to see I’m not the only one, though)

Giovanni Russonello, recensore di Down Beat. Nella foto sopra il giudizio sotto forma di stelle di quattro critici del magazine sul nuovo album degli Snarky Puppy

Come mi piacerebbe leggere delle multirecensioni dello stesso stampo sugli equivalenti magazine italiani, magari riferite all’idolo nazionale, si, sto parlando di Gino. Ma si, quello che è sempre in tivu, ha il programma alla radio, compare sulle copertine delle riviste di giardinaggio, ha il suo festival jazz personale, ha inciso con tutti i partecipanti del festival di Sanremo dal 1950 ad oggi, è famoso per le imitazioni, la meno riuscita delle quali è proprio quella di se stesso, ha anche la casa discografica personale, sta per uscire un duo con Frà Cionfoli, presumibilmente un cinque stelle sui jazz magazine, ha pubblicato centinaia di album in un anno solo,  ha mani in pasta con la politica, scrive libri e rilascia interviste persino ai quotidiani del Botswana e ha un ego ipertrofico equivalente alla sua prostata.

Avete capito, sto parlando di Gino Prezzemolino, quello che ha migliaia di followers, eserciti di groupies in attesa spasmodica del nuovo album da inserire nel lettore. Ascoltarlo poi è facoltativo, vuoi mettere il fascino del nostro, anche solo dalle copertine cosi’ belle e laccate. Che importa se poi, incidentalmente e per caso, oltre che inserire il compact nel lettore quest’ultimo parta e la musica che ne esce è fantasticamente smemorabile, Prezzemolino rimane un mito e le recensioni dei critici non fanno che confermarne l’epopea.

Che bello, dicevo all’inizio del post, sarebbe ogni tanto leggere anche qualche giudizio veritiero sui troppi prezzemolini del jazz italiano. E per veritiero non intendo necessariamente una stroncatura (non sia mai, il divo potrebbe perfino offendersi !), sarebbe sufficiente che so, anche solo dire che il nuovo e prestigioso album non aggiunge nulla, è fantasticamente “noise”,  è tennisticamente definibile come “two balls”.

Mi rendo conto di chiedere l’impossibile, l’asfittico e rancoroso mondo del jazz nostrano non potrebbe tollerare simili affronti se non lavandoli all’alba dietro il convento dei frati neri.

Mi consolo con Down Beat. Un altro mondo è possibile !

P.S. Per inciso, anch’io ho ascoltato Immigrance, il compact degli Snarky Puppy. L’ho trovato stantio perfino come  album di rock….

3 Comments

  1. Da noi si tende, comprensibilmente, a non inimicarsi gli amici, siano questi musicisti, giornalisti, organizzatori di festival, direttori artistici ecc. Se poi si deve dire che qualcuno ci sta antipatico, meglio in privato che in pubblico. È un mondo piccolo quello del jazz… allora mai si leggerà una critica….critica.

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  2. Ahimè, ormai viviamo nel pieno della Società dello Spettacolo, che fa presto a trasformarsi in ‘Avan-Spettacolo’, quando le ribalte si affollano e le platee sono affamate di novità purchessia, anche costruite con facili effetti destinati a durare una sera sola. Il fenomeno si accentua quando le distanze e la frequenza degli incontri tra pubblico ed artisti si dilata, ma non sto ad annoiare con miei vecchi pallini. Che l’ ‘opera’ sia diventando un quasi secondario accessorio del ‘personaggio’ è diventato vero persino in letteratura, dove si è riusciti a cavare dei quasi entertainer da scrittori al limite del caratteriale, figuriamoci in musica, ed in una musica come il jazz dove è ancora più facile la circolazione di una semplificata retorica dell’incrocio, dell’innesto che purtroppo avviene a livelli molto superficiali e spesso con risultati destinati a svanire con l’alba successiva. Viceversa, il jazz ha bisogno di condivisione approfondita, di dialettiche intense in cui nel tempo i musicisti si modellino gli uni sugli altri, uscendo reciprocamente trasformati dall’esperienza. Ma questo non si fa in una sera sola e sotto l’assillo di stupire a tutti i costi: Quella che si va dissipando nel nostro jazz è proprio la dimensione di laboriosa creazione collettiva, che è uno dei pilastri essenziali di questa musica: tanti inarrivabili solisti, poche, molto poche, vere e coese band. Milton56

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