Nella vita di un trio posssono accadere molte cose. Momenti di totale sintonia ed entusiasmo, come pause, crisi e separazioni. La tenuta del progetto collettivo è chiamata a misurarsi soprattutto quando emergono dinamiche evolutive che richiedono un percorso condiviso e bilanciato tra i componenti, chiamati a riconfigurare il proprio contributo all’opera collettiva nell’ambito di una nuova prospettiva sonora. Nel caso di Chat Noir, gruppo italiano in attività dai primi anni del 2000 con una connotazione tipicamente jazz poi rapidamente evoluta verso modelli di ibridazione con rock ed elettronica, sulla scia di gruppi come E.S.T. o The Bad Plus, tutto questo sembra appartenere al passato, e quanto si può registrare nell’arco dei sette album finora incisi, assume i connotati di una vera e propria graduale trasformazione. Almeno a giudicare dagli esiti di “Hyperuranium” il nuovo album pubblicato di recente da RareNoise records, probabilmente la fase conclusiva di un percorso già intravisto nei più recenti lavori, tendente ad accentuare la componente elettro/techno delle composizioni del gruppo di Michele Cavallari e Luca Fogagnolo, sviluppato all’indomani della separazione con lo storico batterista Giuliano Ferrari. Innanzitutto, il trio è diventato un quartetto con l’innesto del batterista Moritz Baumgartner e del chitarrista e tastierista Daniel Calvi, ed il fondamentale apporto, sul disco, in quattro brani, del trombettista norvegese Nils Petter Molvaer. Ma l’innovazione più forte è l’impronta quasi esclusivamente elettronica di tutto l’apparato sonoro.
“Abbiamo sempre pensato al nostro suono come un processo in evoluzione naturale, quasi inconscio, spiega Fogagnolo. La combinazione tra strumenti elettronici ed acustici crea un effetto simile ad un’orchestra che puoi dirigere con la punta dellle dita, ed inizialmente abbiamo esplorato l’elettronica come una risorsa per espandere la nostra tavolozza, per manipolare il suono acustico oltre le proprie qualità naturali. Più di recente abbiamo iniziato ad usare in modo più massiccio strumenti elettronici anche di tipo analogico e drum machines, come principali fonti dei nostri pezzi, pur mantenendo l’approccio collettivo sperimentato da sempre – una delle principali lezioni apprese dal passato come piano trio – e continuando ad usare la modalità di condivisione cloud che ci consente di definire a distanza la struttura basilare delle composizioni. Questo indipendentemente dalla veste sonora scelta.”
Nonostante sia probabilmente il disco più distante dal jazz, sia della produzione Chat Noir che fra quelli presentati su queste pagine, “Hyperuranium” merita un piccolo investimento di attenzione per alcune caratteristiche che, seppure nella nuova configurazione, richiamano l’attitudine del gruppo di attingere e rimodellare diverse fonti e linguaggi musicali, proponendosi, negli episodi migliori, come un epigono del filone elettro jazz nord europeo (Molvaer, appunto, o gli adepti della New conception of jazz di Bugge Wesseltoft) riletto con peculiare sensibilità. E’ il caso della ballad “Humanity”, inizio dimesso e crescendo in toni epici, o dell’intensa “Quasar”, un solo della tromba di Molvaer presentato prima in versione scarna, su puntiforme base ritmica, e quindi ripreso in chiusura in chiave più elaborata. O ancora dell’incalzante post rock di “Glimpse”, dove la voce dello strumento viene stravolta dalle manipolazioni elettroniche. “Overcome” è invece il brano dalla struttura più articolata, costruita su un tema geometrico che sfocia in una delle poche pause acustiche del lavoro e conclude con un crescendo in chiave noise ricco di pathos. In altri episodi l’impronta techno ambient prende il sopravvento, ed i riferimenti citati sopra si allontanano, lasciando spazi a ritmiche algide e tessiture sonore create dai synths, come nell’iniziale “Blisters”, con la sua citazione da “Helter skelter”, e le fitte griglie elettroniche che nascondono un nucleo prog, nelle virate pop di “Immediate ecstasy“, e dance di “Ten elephants” o nella ritmica ossessiva e scura di “Matador insects” . Nell’iperuranio del gatto nero, per gli amanti delle sintesi, convivono oggi, insomma, idee celestiali e tentazioni terrene.