Nella storia della musica si identificano, fra realtà e leggenda, alcuni momenti di svolta epocale, rivelazioni di un talento, un fenomeno o radicali segnali di cambiamento, dopo i quali nulla sarà più come prima.
Nel bel film di Dexter Fletcher, “Rocketman”, che descrive vita ed opere di Elton John ce n’è uno particolarmente evidente, descritto con toni onirici : il debutto del cantante nel 1972 al Troubadour, lo storico locale di Santa Monica Boulevard a West Hollywood, quando l’esecuzione di “Crocodile rock”, con Elton che vola dal pianoforte, fece letteralmente saltare per aria la platea, rivelando al mondo che era nata una stella del pop.
Si può immaginare che un momento analogo sia quello in cui incappò il critico musicale , e successivamente produttore discografico, Jon Landau , assistendo nel 1974 al concerto di un semisconosciuto Bruce Springsteen all’Harvard Square Theatre di Cambridge, Massachusets. L’estratto della sua recensione sul giornale The Real Paper di Boston è entrato nella storia: “Ho visto il futuro del rock’n’roll e il suo nome è Bruce Springsteen“.
Anche la storia del jazz può annoverare una molteplicità di eventi in grado di segnare un’epoca, e lo scrittore e giornalista statunitense A. B. Spellman nel suo avvincente libro “Quattro vite jazz” del 1966, (pubblicato in Italia da minimum fax nel 2013), introducendo le vicende umane ed artistiche di Cecil Taylor, Ornette Colemn, Herbie NIchols e Jackie McLean, ne racconta uno, di portata certo minore, ma particolarmente significativo, nella sua comicità.
Siamo negli anni sessanta , quando il jazz inizia ad espandere i propri confini e seminare i germi dell’avanguardia, mescolandosi ad una avvertita presa di coscienza sui diritti civili, ed alla generale contrapposizione all’establishment. Insieme alle innovazioni stilistiche, anche il comportamento degli artisti sul palco è investito dall’onda travolgente della rivoluzione. Sui palchi, i compassati completi in cravatta dei musicisti, iniziano a cedere posto ai costumi dell’Orchestra di Sun Ra.
Spellman riporta quanto raccolto in un’intervista al grande vibrafonista Bobby Hutcherson, a proposito di un concerto con il sassofonista contralto John Handy: “Suonavamo un pezzo scritto da John, l’ispirazione gli era venuta da una notizia: la polizia dell’ Alabama aveva scatenato i cani contro alcuni dimostranti. Io feci il mio assolo e John attaccò il suo. La sezione ritmica impostò un ritmo trascinante, John ci stava dando dentro, ed io mi sentii così esaltato che mi piazzai a quattro zampe e cominciai ad abbaiare ed a ringhiare. Alla fine addentai l’orlo dei pantaloni di John e cominciai a scrollarlo. Finito il set, John venne da me. “Bobby, ma che diavolo ti è saltato in mente? Cosa stavi facendo ?”. “Scusami John, gli risposi, mi sono lasciato trasportare“. E lui “si ho capito, ma guarda i miei pantaloni“. Glieli avevo fatti a brandelli…..”