Cronache marziane, data astrale 2019. Dal nostro inviato: Capitano Spock :
Spotify ha comunicato al Guardian che circa il 40% dell’ascolto jazz sul sito web di streaming è composto da persone di età inferiore ai 30 anni, con una percentuale che si mantiene costantemente dal 2014. Ha riferito che gli ascoltatori del genere in questa fascia d’età sono aumentati di anno in anno dal 2016.
Un altro sito web di streaming, Deezer, ha dichiarato che c’è stato un aumento del 15% nella musica jazz in streaming tra i 18 e i 25 anni tra giugno 2018 e giugno 2019, la fascia d’età che ha registrato il più grande aumento percentuale. La playlist Chill Jazz di Deezer ha registrato un aumento del 555% degli stream nel Regno Unito negli ultimi 12 mesi.
Il rinascimento del jazz si riflette nei festival e nella vendita dei biglietti, con il jazz britannico fortemente presente nella line-up di Glastonbury di quest’anno. Tra gli altri i notevoli Sons of Kemet e The Comet is Coming. Quest’anno sono anche apparsi numerosi nuovi festival jazz, come il festival We Out Here di DJ Gilles Peterson a Huntingdon, che si terrà ad agosto.
Peterson ha affermato che i gusti delle persone sono diventati più sofisticati, motivo per cui il jazz sta guadagnando popolarità, in particolare tra il pubblico più giovane. “Se hai 21 anni, puoi ascoltare tutti i tipi di musica molto più velocemente. Puoi accedere all’ascolto in streaming o tramite YouTube … La mia generazione ha dovuto comprare i dischi e ci è voluto un po ‘di tempo per arrivare a un certo punto … quindi inevitabilmente la gente arriva al jazz perché è il Santo Graal quando si tratta di musica.“
Ma guarda un po’ sono molto contenta ma anche stupita!
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La cosa non mi stupisce più di tanto. Che il jazz tiri su Spotify, è confermato anche dal fatto che gli svedesi continuano ad acquisire album ad un ritmo molto sostenuto’, attingendo sia alle ultime novità (che spesso vengono presentate sulla piattaforma di streaming prima ancora di esser pubblicate in formato fisico), sia al repertorio storico (il loro archivio ha ormai una copertura che fa sognare gli ex ragazzini degli anni ’70 come me). Le scelte di acquisizione rivelano poi un gusto non comune (non per nulla la Svezia è stato uno delle prime culle del jazz in Europa). Poi basta dare un’occhiata ai conteggi dei followers e degli ascolti per rendersi conto che parecchi jazzman non se la passano affatto male (esempio: Brad Meldhau 345.812 ascoltatori mensili…, alcuni suoi brani hanno ascolti nell’ordine dei milioni): ovviamente quanto a popolarità e seguito, i soldini sono tutt’altro discorso, le mitiche nebbie nordiche avvolgono il complesso sistema di calcolo che determina i compensi per i titolari di diritti (quasi sempre case discografiche, piccole e grandi, molto più raramente i musicisti stessi per produzioni indipendenti). Come ho già detto in passato, il vero problema del giovane ascoltatore che arriva al jazz attraverso Spotify è orientarsi nel groviglio di stili e nella complessa storia di questa musica: le brevi schede biografiche dei musicisti bisogna proprio volerle trovare, aiutano un pochino le relazioni stabilite nella sezione ‘Ai fan piace anche…’. E poi c’è un problema strutturale: il database della piattaforma non è fatto per evidenziare i ‘credits’ relativi alle formazioni che affiancano i leaders, nè esiste un sistema di datazione degli album svincolato dalla pubblicazione, che spesso è una ristampa. Infine, c’è il problema delle compilations mescolate ai dischi originali, effettivamente concepiti dagli artisti. Quanto alla validità del formato delle playlists in ambito jazzistico, ho parecchie perplessità… Insomma, per il jazzfan in erba Spotify è un meraviglioso labirinto, che esige però ottime mappe e bussola, e queste bisogna aver la fortuna di potersele procurare prima: dove? Ma queste sono fisime da Gufo, specie notoriamente in via di estinzione….Milton56
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