Ethan Iverson Trio, un pianoforte nell’ombra

Il trio in uno scatto ‘molto somigliante’ (foto di Alessandra Freguja)

Recentemente abbiamo avuto modo di parlare dei Bad Plus ‘seconda edizione’, quella vede Orrin Evans al piano: e ce ne era ben donde, dati gli esiti brillanti di questa formazione radicalmente rinnovata.

Ma che ne è stato di Ethan Iverson, il precedente pianista e membro fondatore? Quali nuove strade ha preso allontanandosi da un gruppo con cui aveva fatto corpo unico per anni? Una via è quella del duo con il sax tenore Mark Turner, coppia che è stata validamente documentata discograficamente e che abbiamo avuto modo di ascoltare dal vivo anche alle nostre latitudini.

Meno noto è il trio formato con Jorge Rossy alla batteria (illustre veterano di un altro grande combo, quello di Brad Mehldau) e dal giovane bassista John Sanders, peraltro scritturato dai due più navigati compagni solo dopo un’accurata selezione. Lo abbiamo ascoltato dal vivo al Blue Note di Milano il 19 settembre.

Ormai è quasi un luogo comune parlare di interplay paritario soprattutto nell’ambito di piccoli organici. Decisamente più raro è imbattersi in un trio in cui il piano, lo strumento oggettivamente più incombente non foss’altro che per le dinamiche di cui è capace, scivoli in una zona di penombra, quasi eclissandosi tra le quinte dell’immagine sonora di gruppo.

E questa è proprio la scelta fatta da Iverson nell’occasione, opzione talmente deliberata e calcolata da esser persino sottolineata da un’apposita taratura dell’amplificazione. Il suo pianismo rifugge da ogni protagonismo e spettacolarità. Sul piano timbrico punta su di un tono smorzato, su di un’opacità che a più riprese mi ha ricordato quello di un certo Lennie Tristano. I volumi sono contenuti al minimo livello compatibile con l’emersione nella scena sonora.

Anche il fraseggio ha un carattere laconico e schematico, basato più su di una successione di accordi e di note distanziate che su una linea melodica fluida e dinamica. I temi sono tratteggiati con l’indeterminazione di uno schizzo, più che assertivamente enunziati. La migliore esemplificazione al riguardo viene da una pulviscolare ‘Prelude of a kiss’, spogliata di ogni coloritura emotiva e ridotta ad una aurorale nebulosa di gran fascino ed originalità. Altri materiali sono venuti dai ‘books’ personali di Iverson e Rossy; non a caso anche Mark Turner è stato evocato con una sua composizione, che ben si inseriva nel mondo musicale sottile e denso di understatement del trio.

Ovviamente quest’impostazione così marcatamente trattenuta chiama automaticamente una compensazione: che infatti viene dalla batteria smagliante ed a tratti quasi esplosiva di Rossy, che riempe la scena ora con sottili e colorate pennellate, ora con vistosi ed improvvisi accenti che saturano l’intera gamma dinamica del trio, riempiendo gli allusivi e talvolta enigmatici vuoti di Iverson.

A mediare tra questi due pianeti che su muovono su orbite eccentriche, il giovane Sanders, capace di un ‘walking bass’ nitido ed onnipresente. Una performance di rilievo per un nuovo arrivo a confronto con due navigati veterani di grande personalità.

In definitiva, una serata all’insegna di una misurata, inusuale sottigliezza, che per un caso fortunato è stata proposta nella congeniale e raccolta dimensione del club, anziché sfiorire e sbiadire nella più spettacolare e dispersiva dimensione del palcoscenico di un teatro, o peggio di un’arena estiva. Milton56

Una recente clip del trio, in un momento di particolare effervescenza

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