Ascoltando questa antologia/manifesto de nuovo jazz british pubblicata nel 2018, la mente andava ad analoghe incisioni incaricate di rappresentare un’ epoca o un intero movimento. Il ricordo personale più vivo, del tutto estraneo al mondo jazz, è per una raccolta RCA edita intorno al 1976 e dedicata alla allora nascente scena Punk internazionale con degli imberbi Police capitati per caso in mezzo a dissacratori ed inconoclasti vari. Nulla a che fare, quei rozzi maltrattori di chitarre, con i giovani raffinati musicisti, tutti o quasi dotati di titoli accademici, che animano la nuova scena britannica con (fra altri) il chiaro intento di rivitalizzare con i ritmi contemporanei vie di ascensione verso la dimensione spirituale già percorse dai propri idoli di un cinquantennio fa. Più pertinenti con l’oggetto di cui parliamo, anche per una comunanza di regia, sono le numerose raccolte pubblicate nel corso degli anni ’90 da etichette come Acid Jazz o Talkin’loud. Iniziative rivolte a diffondere ed affermare nuove musiche, in realtà molto poco apparentate con il jazz, che fondevano soul, pop e club culture e trovavano nomi quali Galliano, Young Disciples, Incognito e Roni Size fra gli esponenti più noti e di migliore qualità. Ideatore del tutto era Gilles Peterson, dj e produttore britannico di origini francesi da decenni sull’onda di ogni novità prodotta dal panorama musicale UK e conduttore di una autorevole trasmissione alla BBC. Ebbene, Peterson sembra avere catturato al volo anche gli spruzzi della avanzante new wave jazz britannica, orientando gli interessi della propria etichetta Brownswood Recordings fondata nel 2006 ad alcuni artisti della nuova scena come Yussef Kamaal, Shabaka and the Ancestors e Zara McFarlane. “We out here” mette in fila nove nomi nel frattempo quasi tutti assurti a maggiore notorietà, e vale la pena, come è consuetudine, passarli rapidamente in rassegna per approfondire, almeno in parte, il panorama di questa promettente “nuova cosa”.
Maisha “Inside the acorn” : Una lunga ed avvolgente meditazione strumentale ritual/psichedelica con il clarino (Hutchings) ed il flauto (Garcia) in evidenza, per il settetto del batterista Jake Long.
Ezra Collective “Pure shade”: I fiati (Dylan Jones e James Mollison) ed il piano elettrico di Armon Jones in evidenza a correre e frenare sulla traiettoria di un effervescente soul jazz afro beat .
Moses Boyd “The balance” : Il produttore e batterista dell’affermato duo Binker & Jones unisce elettronica e ritmi pesanti per un brano trance dance, in cui spicca un lancinante sax totalmente fuori contesto che devia il brano verso un finale free. Che sia questo l’equilibrio del titolo?
Theon Cross “Brockley” : Un sornione riff del trombonista/tubista dei Sons of Kermet fa partire una sorta di fanfara che articola il suo svolgimento sul dialogo sempre più slabbrato fra sax e basso tuba del leader.
Nubya Garcia “Once” : Un brano modale introdotto da un pianoforte raffinato e liquido e da un sassofono da late night. Poi la temperatura sale con il solo del sax e del piano e l’incedere sempre più pervasivo del contrabbasso. Forse il brano più vicino al linguaggio jazz della compilation.
Shabaka Hutchings: “Black Skin, black masks” : Per il nome più conosciuto del movimento, un brano condotto dai temi ad incastro del clarinetto, supportato da un rutilante groove del basso e dell’ inquieta batteria, che si libera in un tema iterativo ed avvolgente.
Triforce “Walls” : Votato a fondere funk, hip hop e jazz, il quartetto affida qui alla chitarra elettrica di Mansur Brown la struttura di un brano dalle atmosfere dilatate su ritmica hip hop.
Joe Armon Jones “Go see“: Dal mago delle tastiere, un patchwork di jazz e fantascienza che alterna il rassicurante refrain della tromba di Dylan Jones a sezioni dove piano elettrico e percussioni congiurano per lanciare il tutto in orbita. Come un Herbie Hancock impazzito.
Kokoroko: “Abusey Junction“: Accattivante brano afro beat che costruisce la propria identità a partire da un semplice quanto efficace riff della chitarra. Poi subentrano i fiati. Poi ancora la chitarra, a dialogare sulle percussioni. E quindi la tromba. E il brano decolla, fino al leggiadro coro finale.
Grazie per il racconto che, per me che sono una dilettante/profana/appassionata, è molto interessante. E anche per tutti i nomi che hai elencato. Alcuni li conoscevo, sugli altri mi documenterò con piacere!
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