“E’un pò come quando una moneta viene svalutata: un giorno ti senti ricco, e il giorno dopo hai in mano un pacco di carta straccia“. Il commesso del negozio di una grande catena dell’usato al quale ho proposto in vendita una cinquantina di cd di cui liberarmi per guadagnare essenziale spazio in casa, mi parla con un sorriso fra il dispiaciuto ed il compassionevole. Mi ha appena quotato i cd 0,60 euro cadauno, la cifra che, dice, viene normalmente riconosciuta se il prodotto è ritenuto rivendibile sul mercato dell’ usato. Dove il prezzo medio è di 4,90 €. L’episodio, di per sè di scarsa rilevanza, è però significativo della pressochè totale perdita di valore, in termini di mercato, di oggetti a cui, forse in pochi, forse sempre meno, continuiamo ad essere legati per motivi che, se non affettivi, definirei emotivi. Dispensatori di emozioni, appunto, che si sprigionano all’atto dell’ascolto. Tornato a casa ho iniziato a guardare con occhi diversi le mie pareti di cd, cugini degli scaffali di vecchi LP rimasti nella casa di famiglia, pensando che la distanza fra ciò che rappresentano per me ed il loro valore “di mercato” è ormai incolmabile, e concludendo come, forse, una valutazione di tale entità, nonostante il prezzo in crescita dei supporti (ho visto cd nuovi in vendita a 24 €) sia ormai evanescente o addirittura incomprensibile. A corollario dell’episodio, lo stesso ragazzo di prima mi spiega,infatti, che gli capita di ritirare intere collezioni di cd, e qui il jazz entra prepotentemente in gioco, da anziani proprietari, preoccupati che i figli o i nipoti si sbarazzino di tutta quella roba senza alcun valore, smaltendoli come inutili ingombri. E allora, nell’impossibilità di continuare a riservare spazi casalinghi alla propria passione, preferiscono traslocarli negli scaffali di un negozio, da dove possa nascere per quegli oggetti una nuova vita. Il racconto mi spinge a vestire i panni del missionario incaricato di salvare tutta quella musica, portando a casa i cd, pulendoli dalla polvere e dalle macchie sulla copertina, cospargendo di borotalco le parti di booklets ammuffite e, infine, ascoltandoli . Mi è capitato di maturare, per età ed esperienze fatte, un amore per la musica che si traduce in rispetto, dedizione e curiosità quasi filologica per il “prodotto musicale”, da ascoltarsi con l’attenzione che si riserva alla lettura di un libro, ricercandone la genesi, ricostruendone la struttura, e cercando di intuirne lo spirito. Probabilmente, cose senza senso per gli ascoltatori di musica “liquida”. Talvolta, nell’esame di queste collezioni in vendita che sono un pò racconti di una vita, si incappa in un cd masterizzato con una copia della copertina originale stampata a colori, a prima vista molto simile all’originale. E si viene travolti da un’onda di tenerezza, pensando a quanto amore e passione, ma impossibile da tramandare, ha condotto a tale opera di artigianato.
Ma le occasioni per rendersi conto di una realtà mutata, di un mondo nel quale, insieme a tanti altri “valori”, anche quelli legati ad un siffatto modo di concepire l’ascolto musicale si stanno progressivamente dissolvendo, sono molte e spesso quotidiane. A scorrere i cataloghi degli stores on line dove si presume venga, nei nostri tempi, acquistata o “fruita” la musica, abbondano le compilation che abbinano la parola jazz allo “studio” (nel senso di quello dei liceali o universitari), al relax, alle sale d’attesa, ai ristoranti de luxe.
Su queste pagine ci battiamo con convinzione (e qualche ripetizione) contro i festival che usurpano la propria intitolazione alla musica afroamericana con ospiti pop e rock, incitiamo i musicisti contemporanei alla creazione ed all’originalità contro lo strapotere dei tributi contautorali. Ma se ampliamo lo sguardo appena oltre l’orizzonte dei jazzfans, e mettiamo il naso “fuori”, fra la stragrande maggioranza dei non appassionati, degli ascoltatori casuali, dei distratti, ci imbatteremo facilmente in queste stravaganti operazioni da sottofondo che adoperano la nostra musica (o almeno il suo nome) per propiziare “momenti indimenticabili”, “pomeriggi di concentrazione” o “chiari di luna” assortiti. Ci mancano solo le odiose “coccole”.
Un istinto luciferino suggerisce di sostituire quei melliflui titoli delle compilations con altrettanti di Ornette, Ayler o Cecil Taylor …e vedere l’effetto che fa.
Tutto molto vero, purtroppo. Comperi a € 20, esci dal negozio e ne vale forse 1 o 2. Anche meno.
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Qualche anno fa decisi di fare un po di pulizia tra gli lp ed i compact. Molti erano doppioni, altri erano per me superati dal tempo e dai gusti che cambiano. C’era poi il problema non indifferente dello spazio: in un appartamento da 95 mq ho affastellato negli anni migliaia di lp e cd, per non parlare dei libri e dei supporti video. Ho venduto in blocco grazie ad un amico ma il ricavato mi ha scoraggiato a proseguire. Da allora quando e se posso preferisco regalare, amici o associazioni , in base al tipo di materiale musicale. Si pone poi il problema per tutti noi che abbiamo ormai un piede nell’autunno della vita di predisporre un futuro alle nostre amate collezioni, proprio per evitare quanto evocato nell’articolo.
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pezzo malinconico molto ben scritto
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beppe ha ragione “pezzo malinconico e ben scritto”
e se penso che oltre a 6000 CD alle pareti, 500 lp ci sono anche 24 tb di nas
di musica …. me sento … boh
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