“Che cosa resterà tra duemila anni di Charlie Parker, di Anthony Braxton, di Giorgio Battistelli, di John Cage ? E’ una domanda che suona sinistra. Forse non resterà niente. Quei pochi o tanti minuti sono fatti per me. Quelle note sono state scritte o suonate per i miei giorni. Nel jazz le suonano una sola volta e poi mai più. Sono meravigliosamente deperibili. ”
Mario Gamba, Questa sera o mai: storie di musica contemporanea, Fazi Editore
«Una signora francese titolata offriva frequenti party a cui invitava persone con opposti percorsi esistenziali. Una sera chiese di suonare a una strana accoppiata: Andres Segovia e Django Reinhardt. Segovia arrivò in orario e impressionò gli ospiti con il suo repertorio. Django arrivò tre ore dopo senza chitarra. Sorrideva; pensava che tutto fosse bello.
Non sapeva mai l’ora, non portava l’orologio. Andava con il sole e la luna. Segovia non volle prestare a Django la sua chitarra, così qualcuno dei presenti riuscì a trovargli una vecchia carcassa con il ponte incrinato. Segovia rimase affascinato da suoni che riusciva a produrre quella vecchia carcassa. «Dove posso trovare una musica come questa?» chiese. «Da nessuna parte, – rise Django – l’ho improvvisata io adesso»
Zwerin M., Musica degenerata. Il jazz sotto il nazismo, Edt, Torino 1993, pp. 126-127.
Dovremmo dunque rassegnarci a girare con il mazzo di chiavette che racchiude la nostra collezione di dischi? Faremo a meno anche di quelle per attingere, alla bisogna, da telefono o tablet allo sterminato catalogo mondiale disponibile su piattaforme on line?
Alcuni hanno avuto il coraggio di dirmi che ascoltano il bop perché li rilassa. La ritengo un’offesa personale. Il jazz non è un gattino o un pesce rosso: è una bestia feroce
Pierpaolo Vettori, Lanterna per illusionisti (p.166).
…dopo l’uscita e il successo del disco Free Jazz di Ornette Coleman ci furono delle richieste di presentare il suo doppio quartetto in concerto dal vivo. Eric Dolphy non era disponibile, quindi Ornette chiamò Steve Lacy, che di giorno lavorava in un negozio di dischi: “Provammo a New York – Don Cherry, Bobby Bradford, Art Davis, Charlie Haden, Eddie Blackwell…Era meraviglioso, la musica era molto eccitante non vedevo l’ora di suonare in concerto, davvero. Prendemmo l’aereo, arrivammo a un cinema di Cincinnati. Fuori del cinema c’era scritto: ” Free Jazz – Ornette Coleman Double Quartet”. Intorno all’edificio c’era una lunga fila di persone che aspettava di entrare, ma indovinate un po ? Non volevano pagare. Ci furono tafferugli…
“Ehi, è Free Jazz, non paghiamo ” (Free in inglese significa anche Gratis). Loro non pagavano e noi non suonavamo. Il concerto fu annullato, riprendemmo l’aereo e tornammo a New York, così finì l’avventura di Free Jazz II negli States”.
“Ora fa ridere, ma allora non era buffo”. Tutti erano affamati e senza un soldo…
Tratto da “Forget Paris” intervista di John Corbett, poi racchiusa nelle “Conversazioni con Steve Lacy” a cura di Jason Weiss tradotto da Francesco Martinelli
“Che cosa resterà tra duemila anni di Charlie Parker, di Anthony Braxton, di Giorgio Battistelli, di John Cage ? E’ una domanda che suona sinistra. Forse non resterà niente..”. Un bel pezzo di ‘letteratura apocalittica’, che andava di moda negli anni ’60. In realtà, la musica del ‘900 ha un immenso privilegio: quello di poter viaggiare nel tempo attraverso l’immagine che le varie tecnologie di registrazione, da Berliner in poi, hanno messo in campo. Del gregoriano, di Bach, di Mozart, di Beethoven ci sono rimasti dei fogli di geroglifici che qualcuno vuole (o deve) scambiare per la musica: invece dagli albori del Secolo Breve ci arriva un’immagine via via sempre più a fuoco dei suoni, dei tempi, dei silenzi e da ultimo persino degli ambienti sonori e del pubblico, tutte cose che in un pentagramma non entreranno mai. Splendido, no? Certo, ma tutto dipende dalla nostra cura e dalla nostra volontà di conservare e tramandare quest’eredità di fragili e volatili immagini, in cui è custodita anche la parte di noi che inizia dove le parole finiscono. Un compito grande, che non può rimanere solo nelle mani di un’industria che ormai lavora solo all’insegna della filosofiia dell’ “usa e getta” (più ‘getta’ che ‘usa’… senò il Grande Circo si ferma). Siamo anche noi pubblico della musica a dover chiedere e premere per la trasmissione nel futuro di un nocciolo di senso senza il quale ci attende solo una ‘musica di sabbia’, in balia dei venti delle mode di un giorno. E qui non stiamo parlando di orizzonti da era geologica (nell’attuale stato di cose – Hiroshima, cambiamento climatico etc. – chi se la sente di scommettere su di un futuro dell’umanità a 2000 anni data? ), ma di un futuro molto prossimo, in cui molti di noi dovranno abitare. E qui ritorniamo ai discorsi degli ultimi due giorni….. ripetersi è noioso, ma anche il nostro mondo mostra poca fantasia ;-). Milton56
"Mi piace"Piace a 1 persona