Sirkis/Bialas IQ: una voce per la nuova terra

L’idea di un jazz europeo sviluppato sulla tradizione popolare dei luoghi di provenienza dei musicisti, e contaminato  con elementi di culture musicali esterne.. Sembra la storia del fondatore  della Moon June Records,  Leonardo Pavkovic, manager di origini slave, studi in Italia ed Africa, e sguardo aperto sulle musiche del mondo, preferibilmente quelle meno a la page che dirige da New York questa folle impresa di one man label . In questo caso si parla un linguaggio che richiama quello usato da Chick Corea per aprire il suo “cuore spagnolo”, o , al netto delle influenze brasil, le imprese della coppia Airto Moreira/Flora Purim, sbocciata in seno ai Return to Forever. Riferimenti che tornano  a mente ascoltando questo secondo lavoro del  Sirkis/Bialas International Quartet , nato dalla collaborazione fra il batterista di origini israelite Asaf Sirkis, noto per avere collaborato con Lighthouse trio, Gilad Atzmon, Tim Garland, Larry Corryel, John Abercrombie, e membro delle sessions chitarristiche catalane della Moon June records , e la cantante e compositrice polacca Sylwia Bialas. Completano il quartetto il basso elettrico a sei corde dello scozzese Kevin Glasgow, e le tastiere di Frank Harrison, un pianista britannico già nella band di Atzmon e titolare di un trio con Enzo Zirilli e Dave Withford.  “Our new earth” nasce con intenti programmatici di elevato profilo: “Il messaggio dietro alla musica di questo disco – spiegano gli autori -riflette i drastici cambiamenti che sia individualmente che come collettività stiamo attraversando in tutto il mondo , dominati dalla tecnologia, dai social media e da altri fattori comuni. Vogliamo offrire questa musica come una riflessione, un desiderio di riconnessione con la natura , una sorta di preghiera in musica per un mondo migliore  che chiamiamo la nostra nuova terra”. Organizzata su due cd per un totale di circa ottanta minuti, l’opera è costituita da dieci composizioni di media durata, per la maggior parte immerse in atmosfere rilassate e sognanti, che si interrompono talora per lasciare spazio a dinamiche ritmiche più accentuate , “Reminiscence” ad esempio, o la finale “Picture from a polish wood” dove la batteria del leader diventa forza trainante. L’omogeneità del lavoro su coordinate spiccatamente melodiche , con la conduzione dell’onnipresente vocalità di Sylwia Bialas, utilizzata in modalità wordless, ed il ruolo centrale del pianoforte acustico di Harrison, può costituire, al tempo stesso, a seconda dei gusti personali, un pregio o un difetto. Proposta originale e dalla personalità definita, oppure ripetuta esposizione di elementi costitutivi che appaiono chiari fin dal primo brano, “If Pegasus had one wing” dove convivono eterei vocalizzi, parti cantate, assoli liquidi e fluenti del pianoforte. Lo schema si apre ad altre forme nell’intimista “Land of oblivion”, una ballad condotta sulle corde chitarristiche del basso, con il canto in lingua che evidenzia la notevole estensione vocale della Bialas, che fa il paio con il polish blues “Chiaroscuro”, affidato alla voce ed al pianoforte, o in “Letter to A”, condotta dall’ intro di organo verso una melodia avvolgente ed una sezione di pieno strumentale in cui predomina il piano elettrico. Nelle sei composizioni del secondo cd prevalgono elementi etnici, come il sitar di “Rooting”, avvolta su un refrain pianistico a spirale, o il sillabare ritmico tipico della tradizione  carnatica indiana, accompagnato dal tamburo, sulla title track, o ancora i suoni sottomarini di “Message from the blue bird”, uno degli episodi più enigmatici ed ambientali. “Nocturnity” è, infine, un’altra grande prova vocale, ricca di intensità, nonostante la non accattivante musicalità del polacco,  sparsa  sulle note iterative del pianoforte e del basso. Un disco che sarà apprezzato soprattutto da chi ama la voce ed il suo uso strumentale, requisito indispensabile per un soddisfacente approccio. Chi non ha dubbi, invece, è il veterano della scena prog jazz inglese Bill Bruford, già dietro ai tamburi in King Crimson e Yes. “Ogni cosa beneficia della connessione ad un altra, e la musica si giova della connessione ai luoghi. Ad esempio Bela Bartok e Wynton Marsalis attinsero avidamente alle fonti musicali, rispettivamente, della Romania e della Louisiana. Il jazz europeo avrà un grande futuro se continuerà a rimanere vicino alle radici immerse nel sottosuolo di specifiche culture regionali, e continuerà ad essere interpretato da band ricche di immaginazione come questa”.

 

 

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