Questo 2019 appena trascorso per me è stato a lungo foriero di situazioni difficili e la diretta conseguenza è stata un netto taglio al tempo per poter ascoltare musica. Non facile quindi stilare un elenco e motivarlo quando nella maggioranza dei casi un album l’ho ascoltato un paio di volte.
A ulteriore discolpa c’è poi il dato di fatto che a fronte di una prolungata crisi di vendite l’offerta è invece in continuo aumento, provocando una bulimia dissennata ed un vano rincorrere novità e ristampe.
Ho letto in queste settimane le diverse Top Ten dei maggiori siti e testate dedicate alla musica jazz. Ne ho ricavato due impressioni precise: la prima che immediatamente balza agli occhi è la mancanza di uno o più album guida, citati se non da tutti, almeno dalla maggioranza dei referendari. Manca cioè l’album unanimemente riconosciuto , il capolavoro indiscusso dell’anno, daltronde non è stato un anno di radicali trasformazioni nel mondo del jazz. Non c’è stata nessuna esplosione di novità particolari.
La seconda impressione, direttamente derivata dalla prima, è l’estrema polverizzazione delle scelte, segno di una buona vitalità del settore ma anche di una qualità complessiva piuttosto equilibrata ma senza punte particolari.
Ne deriva, almeno a mio modo di vedere, che il 2019 ha prodotto certamente diversi album di ottima fattura ma che difficilmente entreranno nella storia come punti di riferimento imprescindibili. Può darsi che la mia opinione sia frutto almeno in parte anche della mancanza di una visione più ampia dovuta appunto ai motivi che adducevo all’inizio, però sta di fatto che anche i dischi che pure mi hanno appassionato non mi hanno “stravolto” come invece spesso mi è accaduto in passato.
Date le premesse ecco quindi un breve elenco in cui, non in ordine di importanza, passo in rassegna quello che più mi è parso meritevole nel 2019 (just a little…)
The Art Ensemble of Chicago and Associated Ensembles (ECM)
Cofanetto dove oltre agli album del gruppo registrati per la casa bavarese ci sono tutte le incisioni con i membri di AEOC nel ruolo di leader o di comprimari. Grande musica irrinunciabile.
David Torn, Tim Berne e Ches Smith – Sun of Goldfinger (ECM)
Un’esplorazione espansiva di stati d’animo inquietanti ed esibizioni strumentali che vanno dal freddo etereo al visceralmente abrasivo. Musica pericolosa.
Enrico Fazio Critical Mass – Wabi Sabi (Leo Records)
Il wabi-sabi, nella cultura giapponese, insegna ad esercitare il distacco dall’idea di perfezione assoluta, per riscoprire la bellezza di una creazione intuitiva e spontanea, forse incompleta ma sicuramente ricca di originalità. Ed in effetti di goduria si tratta, puro piacere per le orecchie del jazzofilo troppo spesso maltrattate da album poco pregnanti seppur di (presunta) nobile paternità.
Chris Lightcap – Superbigmouth (Pyroclastic Records)
La forza dei gruppi di Lightcap sta in questo essere al servizio della musica e non dell’ego dei diversi solisti, facendo cosi’ affiorare le idee sempre nuove e un impressionante suono d’insieme del gruppo.
Dino Betti Van Der Noot – Two ships in the night (Audissea)
Come ormai ci ha felicemente abituato Betti riesce a prendere un pugno di buoni musicisti e a ricavarne il meglio assoluto con temi ariosi e sempre intriganti. Lunga vita (e ancora molti dischi, please) al maestro
Quinsin Nachoff’s Flux – Path of totality (Whirlwind Recordings)
La musica di Nachoff attraversa un confine tra musica classica e jazz contemporaneo, fondendo deliberatamente i due generi . Quindi la musica non è in alcun modo di “facile ascolto” né è pensata per esserlo. Ma provate a darle fiducia e la ricompensa non mancherà
Bill Evans – Evans in England (Resonance)
Tutto quello che proviene da Resonance è un tesoro da scoprire, se poi si tratta di Bill Evans si può andare sul sicuro. Questo Evans in England è meno esplosivo del precedente, Some Other Time, ma comunque si vola ad alta quota
John Coltrane Blue World (Impulse!)
Quando c’è musica di John Coltrane mai ascoltata prima, eseguita da uno dei più grandi ensemble jazz di tutti i tempi nel momento più alto della parabola artistica, registrata non di meno che da Rudy Van Gelder, ditemi voi, cosa chiedere di più
Paul Bley, Gary Peacock, Paul Motian – When Will The Blues Leave (ECM)
Capita assai raramente che metti qualcosa di nuovo nel lettore e nel giro di tre note, capisci che stai ascoltando qualcosa di evocativo e profondo. E’ il caso di questo concerto registrato a Lugano nel 1999 da tre miti della musica jazz.
Art Ensemble of Chicago – We Are On the Edge (Pi Recordings)
Ancora l’Art Ensemble ? Si, soprattutto se qui si riuniscono alcuni dei migliori nuovi e vecchi esponenti della scena chicagoana (ma c’è anche la nostra Silvia Bolognesi). Continuità nella tradizione e nella esplorazione. Forse, più che AEOC, si potrebbe intestare il tutto come il nuovo supergruppo di Roscoe Mitchell, ma nella sostanza nulla cambierebbe. Sempre Great Black Music !