Omaggio al santo con le ossa rotte. “Dedicated to Michel Petrucciani” al Teatro Modena di Genova

Quando nei primi anni ottanta volò in California, spinto dall’istinto verso il mondo del jazz, Michel Petrucciani incontro’ Charles Lloyd, che non suonava più da quindici anni. Dopo averlo visto e sentito suonare, Lloyd si ricordò di una antica leggenda che predicava l’arrivo del “santo con le ossa rotte” e non gli ci volle molto a capire che quel young french boy, con il suo fisico da bambino, le ossa fragili e le lunghe mani, era un segno del destino. E riprese ad imboccare il sassofono. Insieme a tante altre storie, aneddoti e memorie, questo tassello della vita di Michel compone uno straordinario omaggio inbastito dal critico e musicologo Guido Festinese, insieme ad un quartetto di jazzisti capitanati dal fratello di Michel, il chitarrista Philippe Petrucciani, che domenica 26 gennaio ha inaugurato il ciclo “Jazz’n breakfast“, organizzato da Rodolfo Cervetto con il Teatro Nazionale dii Genova. Formula rodata e di grande richiamo, tanto che in molti sono rimasti fuori dalla sala Mercato del Teatro Modena, la rassegna abbina colazioni e jazz in orario mattutino e promette fino al prossimo Aprile un appuntamento al mese. Quello di “Dedicated to Michel” aveva l’aria delle occasioni speciali, sia per la presenza del fratello Philippe, musicista con solida carriera mainstream in corso, che per l’abbinamento della musica – una decina di brani composti dal piccolo grande musicista affidati al quartetto completato dal bassista Marc Peillon, dal pianista Alessandro Collina e da Cervetto dietro ai tamburi – con le parole poetiche, appassionate e “dal cuore” scritte da Guido Festinese. Lo spettacolo ha toccato tante delle corde che la vita di Petrucciani seppe far risuonare: dalla rabbia di un bambino che distrugge un pianoforte giocattolo alla scoperta di un mondo libero e fresco in cui immergersi, quello della musica praticata senza limiti di orario fin da bambino, con la scoperta e lo stupore di Clark Terry, l’accudimento fraterno di Aldo Romano e poi l’America, Lloyd e la Blue Note che lo mise, primo europeo, sotto contratto per sette album pubblicati fra il 1986 ed il 1994. E poi la corsa frenetica a bruciare le tappe in lotta contro il tempo ed  un destino inevitabile. Fra le parole e le storie la musica, gioiosa come sapeva comporre Michel, da ” Looking Up” a “Braslian Like”, da “Bimini” ad una scatenata “Little piece in C for U ” , con Philippe a condurre il gioco con regia accorta e grande mestiere, Peillon e Cervetto a scambiarsi assoli e fantasiosi giochi ritmici, e Collina nel ruolo di raffinato cesellatore, sapientemente alla larga dalle emulazioni. Durante il concerto c’è spazio anche per un funk improvvisato, concluso in risate, e per un toccante ricordo: quella “Old folks” che Michel era solito eseguire nelle ultime tourneè tenute insieme ai suoi familiari, il padre Tony, i fratelli Philippe e Louis: un necessario ritorno a casa dopo una vita passata fra centinaia di concerti suonati in giro per il mondo e collaborazioni con i più grandi del jazz.

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Ho avuto modo di raccontare a Philippe che conservo un ricordo personale di quella tourneè, nella tappa del Festival Roccella Jonica – Rumori Mediterranei verso la fine degli anni ’90.

Mi ricordo di quel concerto, è stato nell’agosto 1998, ed eravamo in tourneè per qualche data. Un momento indimenticabile, è stata l’ultima volta che abbiamo suonato insieme.
La musica fa parte della nostra vita fin dalla nostra infanzia, ma Michel viveva davvero per la musica. Amava più di tutto la melodia. Le sue composizioni sono come canzoni, come amava, dire spesso lui. Proprio per rendere un omaggio al suo ruolo di compositore ho creato il progetto « Remember Petrucciani », perchè normalmente lo si conosce maggiormente come un virtuoso del piano con una tecnica incredibile. Ho amato tutti i suoi album, ma se dovessi sceglierne uno non avrei dubbi a prendere « Michel plays Petrucciani » uscito nel 1988 per la Blue Note. In famiglia non lo abbiamo mai considerato come una persona con un handicap, per noi era normale. Quando eri davanti a lui ti dimenticavi dell’aspetto, la sua presenza, il suo carisma, ed il suo spirito catturavano tutti i presenti, Aveva un’energia ed una forza di carattere eccezionali.

Che ruolo aveva la musica in casa Petrucciani?

Mio padre ascoltava molto jazz a casa e così quasi naturalmente verso gli otto anni decisi di imparare la chitarra, con mio padre come insegnante. I miei fratelli Louis e Michel scelsero rispettivamente il contrabbasso ed il pianoforte. Tutti e tre guidati da nostro padre abbiamo appreso i fondamenti del jazz in famiglia ,e suonavamo spesso insieme formando quella che potremmo chiamare un orchestra familiare. Personalmente sono stato molto ispirato da Wes Montgomery e da Bill Evans , che ascoltavamo spesso con i miei fratelli. La prima volta che ascoltai John Coltrane, rimasi scioccato! In seguito ho inizato ad ascoltare musicisti contemporanei come Ornette Coleman. Grazie a Michel, ho avuto la possibilità di incontrare, musicisti straordinari ed uno dei miei chitarristi preferiti, John Abercrombie. Negli anni della mia formazione ho ascoltato anche molto gruppi come King Crimson, Frank Zappa e Soft Machine.

Che cos’è per lei il jazz?

Per me il jazz è improvvisazione, esplorazione,ricerca di nuovi percorsi che apriranno certamente nuove vie. Per me un buon vecchio disco di Wes Montgomery o Thelonius Monk sono ancora molto gratificanti. Trovo che non siano per niente invecchiati, come le composizioni di Bach, Mozart e molti altri che hanno perso una connotazione temporale precisa. Ci sono movimenti musicali che contraddistinguono le generazioni. Noi siano troppo concentrati su noi stessi per capirlo, ma siamo sicuramente all’alba di una nuova generazione che segnerà l’evoluzione del jazz. Basta riflettere come è cambiato il modo di imparare la musica . Oggi con youtube abbiamo accesso con un clic a migliaia di versioni di uno stadrad del jazz., mentre ai miei tempi si comprava un disco, lo si ascoltava con attenzione, si potevano copiare gli assoli dei nostri musicisti perferiti e penso che questa sia una buona maniera per imparare ad improvvisare. Ci si deve ispirare ai predecessori, Io penso che la musica oggi sia particolarmente carente di melodia. In quanto musicista di jazz, io suono essenzialmente per il pubblico, Tento di trasmettere un’emozione, di essere in relazione con il pubblico, Penso che il pubblico sia importante per potersi cimentare nel processo dell’improvvisazione.

Come, credo, anche il rapporto personale fra i musicisti.

E’ vero che nel rock il concetto di gruppo è sostanziale, ma anche nel jazz ci sono stati grandi gruppi stabili com quelli di Miles Davis, John Coltran o i Weather report per citarne solo alcuni. Il fatto di suonare con altri musicisti ci permette di condividere le nostre idee, di stimolarci. E’un fattore indispensabile. Si apprende sempre quanto si suona con altri musicisti. Ho incontrato tempo fa Lucky Peterson, un musicista che non conoscevo personalmente, ma quando abbiamo suonato insieme è stata un’esperienza formidabile. Ho avuto anche la possibilità di partecipare al suo album « Tribute to Jimmy Smith ». D’altro canto, per un progetto tendo a scegliere dei musicisti che conosco bene, con i quali ho già suonato e che sono in sintonia con me. Amo lavorare a lungo con lo stesso gruppo ed infatti si avverte una garnde complicità quando suoniamo insieme. Per citare un esempio : il mio abituale quartetto è composto da Nathalie Blanc al canto, che è la mia compagna, con la quale collaboro in numerosi progetti, Dominique Piazza al basso, un amico di lunga data, col quale ho inciso il mio primo cd « The First » nel 1991, e da Manu Roche alla batteria, un amico fin dall’infanzia. Lui veniva spesso a casa nostra per suonare in jam sessions ed imparare con me ed i miei fratelli i pezzi e gli standards che mio padre ci dava da studiare per la settimana. Abbiamo prodotto insieme due cd « Este mundo » e « Remember Petrucciani », un altro omaggio a Michel. Penso si possa dire che con loro costituiamo un vero gruppo.

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