Tommaso Gambini è un giovane chitarrista nato a Torino nel 1992, ma da anni trasferito negli Stati Uniti, prima a Boston, subito dopo gli studi in Italia, con una borsa di studio al Berkee College of music, a lezione da Mick Goodrick e George Garzone, e quindi, dopo essere stato selezionato ed ingaggiato da Danilo Perez, a New York, dove da anni ha avuto modo di entrare in contatto con illustri nomi della scena jazz della metropoli. Per il suo esordio discografico ha deciso di attingere ad una fonte letteraria, il romanzo “The machine stops” di Edgar Morgan Forster pubblicato nel 1909, che ambienta in un futuro distopico un mondo in cui ogni aspetto della vita umana è dominato e controllato da una macchina. Nella narrazione protagonisti sono Kuno e sua madre Vashti, autori di un piano eversivo che culminerà con il riaffermarsi dei valori e della autodeterminazione dell’individuo e lo spegnimento della macchina. Curiosamente, quella di Gambini è la stessa scelta fatta quattro anni fa dal gruppo space rock Hawkwind, che al romanzo di Forster, una storia con evidenti segni premonitori alla attuale società dominata dalla Rete, ha dedicato un concept album dallo stesso titolo. Qui ovviamente la “colonna sonora” è molto diversa da quella dei tuttora agguerriti rockers statunitensi: in bilico fra elettronica e jazz, Gambini confeziona per il suo quartetto (Manuel Schmiedel alle tastiere, Ben Tiberio al basso e Adam Arruda alla batteria) sette composizioni originali dai toni scuri e riflessivi, inserendo anche sporadiche parti recitate dei testi e dimostrando una maturità ed originalità non comuni per un musicista così giovane. Dopo la introduzione elettronica della titile track, “Kuno“, dedicato al protagonista della novella, è strutturato su un tema malinconico e riflessivo delle tastiere, e si sviluppa su un duetto con la chitarra dai singolari riflessi timbrici, “Vashti” è una ballad in cui la chitarra del leader, il pianoforte di Schmiedel ed il flauto dell’ospite Anggie Obin congiurano nella definizione di un clima raffinato ed inquieto, “Tomorrow“, pare una jam ambientata in un jazz club del futuro, vagamente latin e registrata in lo fi. Ci sono poi due brani con illustri ospiti: “Second hand ideas”, un cadenzato mid tempo che si avvale del sax alto di Ben Van Gelder, e “Anonymous” serrato ed iterativo groove che fa da sfondo al sassofono di Dayna Stephens, presente anche nella tourneè di lancio del disco con tappe anche in Liguria, a Genova e Chiavari, un anno fa. Gambini si dimostra all’esordio compositore acuto ed originale e leader rivolto al collettivo più che alla prova individuale, pur riservandosi alcune parti soliste risolte con autorevolezza. Una prova interessante che, pur nella sua brevità, permette di intravvedere un interessante ed originale musicista con un futuro ricco di prospettive.