Spero di essere perdonato per l’ennesima escursione nel passato, ma il periodo vacanziero , la penuria di novità ed il tempo per qualche riscoperta di vecchi vinili , propiziata magari da una fresca riedizione rimasterizzata di quei vecchi titoli, portano al presente risultato. Dunque, siamo nel 1982 ed al terzo album del Pat Metheny Group, dopo l’omonimo “bianco” ed “American Garage”di un paio d’anni prima, primo successo statunitense per la band. Pat, Lyle e soci (Steve Rodby che ha rilevato il basso da Mark Egan e Danny Gottlieb) non sono ancora le superstar che diventeranno di lì a poco, ma un promettente ensemble nato con l’idea di condividere passioni e generi , proponendo, nel panorama di quello che allora si definiva jazz rock, spesso identificato con muscolari e virtuosistiche prove tecniche, una musica dal gentile ma deciso impatto melodico, che univa le suggestioni classiche di Mays, l’amore per il jazz di Pat ed una passione per la cultura musicale sudamericana, qui rappresentata dall’ospite Nana Vasconcelos, che inaugurerà quel filone di canto strumentale divenuto in seguito uno dei tanti marchi di fabbrica del PMG. Dunque “Offramp”, copertina fra le meno significative mai viste, ma contenuti musicali che ancora oggi fanno includere l’album nel novero di quanto di meglio la fortunata ditta abbia prodotto. Dopo l’iniziale “Barcarole”, una sorta di presentazione per il nuovo strumento che Pat aveva iniziato ad utilizzare, la chitarra sintetizzatore Roland 303, ecco il primo assist: “Are you going with me”, brano che diventerà un classico delle tourneè da quel momento in poi, otto minuti adagiati su un soffice tempo di bossa nova, sul quale prima le tastiere di Mays,poi l’autoharp ed infine la chitarra con “quel” suono che a tutto poteva far pensare meno che a delle code pizzicate, disegnano un arco emotivo che evolve, per volute sempre più articolate, dalla quieta contemplazione ad un clima di sovra eccitazione, per poi gradualmente spegnersi in un finale magistrale. Subito dopo “Au lait” altro future classic della band: qui il clima è totalmente acustico, ed è introdotto da una umbratile melodia del piano e chitarra, uno spiritello che si nasconde fra gli alberi di una foresta amazzonica, evocate dai suoni degli strumenti di Vasconcelos, per poi prendere forma in una eterea melodia che letteramente vola con il suo andamento rilassato e lievemente malinconico, distillando nell’atmosfera onirica gli assoli del pianoforte e della chitarra.
Girato il disco (vi avevo avvisato che ho fra le mani il vinile ECM d’epoca) le sorprese non sono finite. “Eighteen” è una tipica straight ahead song del gruppo, un brano con grande carica ritmica che si sviluppa su continui breaks e ripartenze e contiene un bel soliloquio della chitarra. “Offramp” è invece il brano che non ci si sarebbe aspettato dopo tanta bellezza declinata in chiave melodica: un omggio al free di Ornette Coleman tramite un lungo solo della chiatarra sintetizzata, prologo di quelle prove che successivamente avrebbero segnato la carriera di Metheny fino alla collaborazione con Coleman stesso in Song X. Il terzo colpo basso del disco è invece “James”, ispirata al cantautore James Taylor, è una gemma assoluta del binomio di compositori Metheny/Mays, con la sua melodia completata da una sorta di contrappunto ed un percorso nel quale il pianoforte di Mays sigilla un solo che racconta tutta la storia del musicista. Si chiude con l’atmosferica “The Bat part.2” appendice del brano presente sul doppio 80/81 pubblicato un anno prima di Offramp e registrato con Haden, De Johnette, Redman e Brecker. Riascoltato oggi “Offramp” sembra il trait d’union perfetto fra il PMG degli inizi e quello dei successi planetari che per lunghi anni ne avrebbero segnato la vita, ricco di contenuti ma privo di quelle indulgenze melodiche che avrebbero conquistato le masse, ma alienato le simpatie di alcuni seguaci dei primi tempi. Un caffè corretto al latte, ma con poco zucchero.
Ritorno sulla pista di decollo. PMG “Offramp”(1982)
